Titolo questo intervento con un vero e proprio furto di un aforisma di Giulio Cesare Croce (Bertoldo e Bertoldino, 1608).
Lo faccio per un argomento molto, molto delicato e che sta continuando ad entrare con prepotenza nel franchising: la pubblicità ingannevole.
E’ infatti da tempo che l’AGCM infligge dure sanzioni con provvedimenti su questo argomento e, questi provvedimenti, hanno visto nel tempo come protagonisti molte reti di franchising.
AZ Franchising sul numero di marzo ha pubblicato la notizia che la rete Mail Boxes Etc. era stata oggetto di provvedimento nel mese di dicembre 2012 e che, proprio nei giorni di stampa della rivista, stavano scadendo i termini per il ricorso al Tar (non è a me noto se l’azienda ha provveduto in tal senso).
Vediamo il caso (di seguito il corsivo virgolettato è tratto o dal provvedimento dell’AGCM, che è un provvedimento pubblico, o dall’articolo di AZ Franchising).
Copyright
Nel caso specifico, l’AGCM è stata chiamata a riscontrare eventuali e “potenziali profili di ingannevolezza attenenti i seguenti aspetti dell’affiliazione alla rete MBE/Mail Boxes Etc.:
a) la solidità e il livello di crescita della rete;
b) la redditività dell’attività in franchising;
c) l’ammontare dell’investimento iniziale richiesto all’aspirante affiliato e i costi da sostenere durante la durata del contratto di affiliazione;
d) l’assistenza e il supporto agli affiliati sia nella fase di “start-up” dell’attività che nel periodo di vigenza del contratto (formazione e addestramento iniziale, accordi quadro e agevolazioni finanziarie) nonché a livello centrale e locale“.
Mentre per ciò che concerne i punti a), c) e d), non sono stati rilevati profili di ingannevolezza, il caso b) ha comportato la decisione dell’AGCM verso la notissima rete con una sanzione di ottanta mila euro.
In pratica, i messaggi pubblicitari sottoposti all’analisi dell’AGCM, non ponevano chiaramente in evidenza elementi tipici del sistema di franchising che risultano determinanti o essenziali. Infatti, è stata rilevata una importante assenza di adeguate informazioni “per calcolare il fatturato medio annuo dei punti vendita, la cui conoscenza (fatturato medio annuo/redditività dei punti vendita) è imprescindibile ai fini dell’adozione di una decisione commerciale consapevole circa l’affiliazione”, come “il c.d. “farming”, l’attività di promozione e vendita esterna a livello locale da parte del punto vendita per la ricerca di nuovi clienti”. Ciò soprattutto quando “Tale attività costituisce, infatti, un’obbligazione contrattuale per gli affiliati, pena la possibile valutazione di inadempimento della medesima. Pertanto, ai fini di una consapevole valutazione circa il possibile ottenimento dei suddetti risultati riportati nelle comunicazioni commerciali, risulta indispensabile la conoscenza di questa rilevante obbligazione contrattuale, che non viene invece, mai citata, né in alcun modo descritta o anche solo accennata negli ampi messaggi pubblicitari oggetto del presente procedimento. Inoltre, nei messaggi pubblicitari non viene data menzione anche della circostanza che il punto vendita” (a marchio Xxxx, nda) “non effettua “direttamente” le spedizioni ma si avvale di corrieri convenzionati, con margini di guadagno da questa attività che inevitabilmente si riducono in ragione dei costi da sostenere per la fornitura e la remunerazione del servizio di spedizione da parte dei suddetti corrieri esterni. Anche in questo caso, ai fini di una consapevole valutazione circa il possibile raggiungimento dei risultati economico – reddituali prospettati nei messaggi, è necessaria la conoscenza dell’estensione delle attività poste in capo agli affiliati”. Questo comportamento ritenuto ingannevole, non è rimuovibile, continua l’AGCM, con la sola circostanza che “già nella fase precedente alla stipula del contratto preliminare di affiliazione, e cioè durante i numerosi incontri che si svolgono con i potenziali affiliati in un arco di tempo di [omissis] dal primo contatto alla firma del contratto preliminare, il potenziale affiliato possa beneficiare di una serie di informazioni e chiarimenti idonei ad adottare in modo pienamente informato la scelta di avviare l’attività di franchisee della rete”.
Senza dubbio un precedente da valutare attentamente per il futuro.
Personalmente, andando oltre a questo non certo positivo episodio, tra le cose che più mi hanno colpito e che sono contenute nel provvedimento, ce n’è una che coglie un aspetto degno di attenzione e che, come chi mi conosce più da vicino sa, è un concetto che ripeto spessissimo.
Dice l’AGCM: “gli aspiranti affiliati destinatari delle comunicazioni commerciali sono per lo più imprenditori di piccole dimensioni, ditte individuali prevalentemente a gestione familiare, che possono necessitare di forme di tutela che, pur tenendo conto dell’attività imprenditoriale, non siano completamente difformi da quelle riservate ai consumatori”, ciò, soprattutto, quando le reti specificano che “non è necessaria una precedente esperienza nel settore ed evidenziano il sostenimento di piccoli investimenti iniziali e dimensioni ridottissime del personale e del punto vendita”. Cosa significa questo ?
Significa che tutti sono degni di tutela da attività ingannatorie ed il franchisor sta “vendendo” un vero e proprio prodotto: la franchise. Per tale prodotto ci sono dei consumatori degni di tutela. Questo ci fa capire perché, negli USA si parla di “to buy a franchise”. Questo fa capire perchè ripeto costantemente tale concetto a tutti i franchisor, nella costruzione della loro franchise, ed a tutti i franchisee, nella loro valutazione per l’adesione.
L’AGCM già in un altro provvedimento del 2010 aveva asserito questo principio: “la condizione di imprenditore del destinatario di un messaggio pubblicitario non ne esclude in alcun modo l’idoneità ingannatoria; peraltro, i messaggi pubblicitari oggetto di contestazione specificano che, per aprire un centro Xxxx (il marchio, nda) non è necessaria una precedente esperienza nel settore“.
Questa volta, però, e lo ritengo un punto importantissimo, paragona esplicitamente l’affiliato imprenditore al consumatore elevando il grado di tutela.
Ma questo, permettetemi, mi rende particolare soddisfazione dal momento in cui, in qualità di Promotore/Fondatore della costituzione di IREF ITALIA (marzo 2012), nel corso della mia personale predisposizione del Codice Deontologico dell’Associazione ho particolarmente tenuto ad inserire una clausola di impegno comportamentale a carico dei franchisors che così recita:
“11. Reclutamento, pubblicità ed obblighi di informazione.
11.1. La pubblicità per il reclutamento degli Aderenti alla rete sarà priva di ambiguità, di affermazioni fuorvianti e di tipo ingannevole.
11.2. Tutti i materiali pubblicitari e promozionali che contengono riferimenti diretti o indiretti a risultati cifre o guadagni che gli Aderenti alla rete possono attendersi devono essere veritieri, obiettivi, non fuorvianti e non ingannevoli e, ove necessario, esplicitare che nell’avvio di un’attività imprenditoriale è sempre insita l’aleatorietà dei rendimenti futuri che dipenderanno da fattori e variabili di cui non è ovviamente possibile prevederne con certezza l’andamento, così come stabilito dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato“.
Ovvio e necessario precisare che la soddisfazione non è rivolta al mio ego, ma è logica conseguenza di quale stato d’animo e di come ci si sente dentro quando non si pensa a sé stessi, ma agli altri, alla tutela degli altri, alla tutela di tutti gli altri, siano essi franchisor, che franchisee, e quando si cerca di porre in applicazione concreta e non teorica “buone regole, per un buon franchising”, perchè questo principio comportamentale non tutela solo gli affiliati, ma anche e soprattutto gli affilianti che lo seguono e lo attuano, ed i vari provvedimenti dell’AGCM lo dimostrano, come le sanzioni che sono irrogate.
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[…] marzo 2013 ho pubblicato un intervento dal titolo “”Non è ingannato se non chi si fida”: AGCM mette sotto i riflettori il caso “M…” che riprendeva e descriveva i contenuti del Provvedimento dell’AGCM. Su tutto quanto, però, […]
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