Conclusione dell’intervento “Reti, vendite e piramidi: bene chiarire, meglio distinguere (prima parte)”, una analisi sull’impossibilità oggettiva di poter confondere, paragonare o confrontare il franchising (o qualsiasi altra forma di rete di commercio indipendente) con il Multi Level Marketing (di qualsiasi natura). Una analisi per fornire strumenti concreti a comprendere le differenze tra queste forme di distribuzione, ma anche da queste forme “manipolate e manipolanti” per operatori del settore. L’importanza di tale analisi la si comprende dal fatto che gli interventi sono innegabilmente lunghi, ma d’altronde non ci sono scorciatoie: se l’illustrazione deve essere utile, la stessa deve essere complete. Tenterò di farlo fino ad illustrare anche aspetti di carattere civilistici e fiscali.

Molto sinteticamente, faccio presente che la prima parte è stata dedicata all’analisi delle caratteristiche formali, legali e sostanziali del MLM.

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IL MLM E L’ARTE DEL TRASFORMISMO

Negli ultimi anni parte del MLM ha avuto la necessità di rifarsi il look. Il motivo principale deriva essenzialmente dalle conseguenze delle notizie di rilevanza penale che hanno coinvolto e danneggiato decine di migliaia di persone (limitandoci all’Italia), ma un altro motivo è dato anche dal fatto che l’attività di intermediazione nella vendita a domicilio (non si sfugge, di questo si tratta) non è più così attrattiva e, potremmo dire, ha subìto una forte “inflazione”. Le due cose, messe insieme, hanno determinato una crisi di immagine del settore (anche se in crescita in termini di transazioni). Allora ecco che i guru del marketing hanno ben pensato di agganciarsi ad un treno che, invece, da decenni sta correndo a grande velocità e che è sempre più “nella testa” delle persone: il franchising.
E’ ovvio, però, che anche i guru del marketing non potevano sostenere che l’attività che stiamo analizzando appartenesse al 100% al franchising, non solo, ma la Legge 129/2004 ha posto ben precisi limiti e confini al settore e, quindi, sono stati coniati alcuni termini specifici aventi scopi elusivi nei confronti di tale legge, quali:

  • personal franchising (o franchising individuale/personale);
  • private franchising (o franchising privato);
  • non-public franchising.

E’ la stessa cosa che è accaduta in altri paesi ed in particolare negli USA (dove gli eventi accadono 20 anni prima) e già nel 1995 la Federal Commerce Commission si pose il problema di dover distinguere tale attività dal franchising al fine di non creare confusione nel consumatore, ma l’iniziativa non ha risolto definitivamente la questione e, nel frattempo, l’uso di tali termini è molto cresciuto in tutto il mondo. E, ovviamente, non potevamo minimamente illuderci che l’Italia non fosse coinvolte.
L’Italia, luogo dove la “fame da lavoro”, il culto del “secondo e terzo lavoro” e l’allergia all’imposizione fiscale (prima di arrivare a superare i 5.000,00 di cui sopra, vengono “nominati” incaricati i componenti di tutto l’albero genealogico della famiglia e del condominio), pongono un’attività di marketing assolutamente in secondo piano rispetto a tali principali obiettivi e, se facessimo presente agli operatori del settore che quello che stanno facendo è una vera e propria strategia di marketing non ci sarebbe da meravigliarsi se notassimo qualche espressione di sorpresa sui loro volti. Operatori che sono anche convinti di esercitare un’attività da “libero professionista”, senza neanche conoscere la differenza tra tale figura ed un lavoratore indipendente.
Consiglio la lettura anche dell’intervento “Microfranchising: la verità e la mancanza di vergogna“.

MLM: LONTANO DAL FRANCHISING

Dovrebbe essere di tutta evidenza che siamo in presenza di una pratica commerciale che fa abusivamente uso della rispettabile terminologia propria del franchising al fine di mascherare altre intenzioni, che con il franchising non hanno nulla a che fare e che non possiedono il benché minimo elemento di un know-how, nel reale e legale senso e significato della parola, ma si limitano a pure tecniche e metodologie psicologiche di vendita, ma soprattutto, di convincimento e la caratteristica che occorre effettivamente individuare e “memorizzare” è la completa assenza del trasferimento di quel “fascio” di diritti e rapporti che costituiscono l’oggetto del franchising, così come la legge nazionale descrive e dettaglia.
Molti autori (soprattutto statunitensi) hanno tentato di individuare similitudini e differenze tra il “MLM tradizionale” e “franchising” e tra “MLM-personal franchising” e “franchising”. Oltre ad un aspetto sostanziale valido per tutti i paesi del mondo, vi è anche un aspetto formale, legale, normativo che può essere diverso da paese e paese, implicando, quindi, problemi di accostamento e paragone a tali differenze/similitudini. Tutti gli autori, però, hanno sempre un filo comune che li unisce: il MLM ed il personal franchising non hanno e non avranno mai niente in comune con il franchising.
Per far comprendere tale affermazione, porto ad esempio il concetto generale di attività di intermediazione. Si tratta di un ambito di attività nella quale rientrano “l’agente di commercio”, “il rappresentante di commercio”, “il procacciatore di affari”, “l’incaricato alla vendita diretta” (o venditore a domicilio o porta a porta, definizioni delle quali, molto spesso, gli operatori del MLM si “vergognano” e di “offendono” ad essere così definiti), “il mediatore”, “il commissionario”, ecc.. Sono tutte figure molto simili, ma assolutamente diverse dal punto di vista giuridico e le cui differenze non sono presenti in ordinamenti di altri paesi.
Pertanto, nel caso specifico, paragonare, accostare, tentare una similitudine tra “MLM” e “franchising” e tra “personal franchising” e “franchising” è un’attività altamente utopica e ricca di notevoli quantità di fantasia giuridica. Di seguito, cercherò di far comprendere il perché.

FRANCHISING: LONTANO DAL MLM

Intanto, iniziamo con il dire che coloro che operano nel MLM non sono “liberi professionisti” (come si autodefiniscono), ma prima di tutto “lavoratori indipendenti” (art.2222 del Codice Civile, “Contratto d’opera”) assolutamente distinti dai “prestatori di opera intellettuale” (art.2230 del Codice Civile, “Prestatore d’opera intellettuale”), anche se ambedue le figure appartengono al Titolo Terzo del Codice Civile (“Del lavoro autonomo”).
Ancor più esattamente, come abbiamo visto, i “venditori porta a porta” sono “intermediari” (come i procacciatori o gli agenti, ecc.) che, in termini civilistici, costituiscono “ausiliari autonomi collaboratori dell’imprenditore.
La differenza è sostanziale anche fiscalmente parlando:

  • per gli intermediari, si tratta di un “reddito di impresa” (da riportare, salvo casi particolari, nel quadro G o F del Modello Unico),
  • per i liberi professionisti (quelli veri) si tratta di “reddito da lavoro autonomo” (da riportare nel quadro E del Modello Unico).

Come noto il franchising costituisce un contratto “atipico”, cioè un contratto non previsto dal Codice Civile, ma è un contratto “regolamentato”, cioè sottoposto a quanto previsto dalla Legge sul Franchising (n.129/2004).
Fondamentalmente, il franchising, si compone di una pluralità di prestazioni, le quali, da singole, costituiscono già dei rapporti tra le parti (rapporto di licenza, per brevetti, marchi, know-how, di concessione di vendita, di comodato, ecc.). Pertanto, il franchising è un contratto misto o complesso.
Nonostante la Legge n.129/2004 abbia consentito uno specifico inquadramento della tipologia contrattuale del franchising, non raramente, si ravvisino ancora delle difficoltà per distinguere lo stesso franchising da altre formule contrattuali. Questa circostanza è ben nota a molte aziende che “marciano e giocano” su tale “non conoscenza”.
Le formule contrattuali che vengono maggiormente poste a confronto sono i contratti di concessione, licenza, mandato, commissione e agenzia (o, più in generale, intermediazione).
Nel caso analizzato con questo intervento il rapporto contrattuale è “incaricato alla vendita diretta”, cioè di tipo “intermediario” e, quindi, “vicini” (anche in termini giuridici) al contratto di agenzia. Proprio dall’analisi comparata franchising/agenzia, possiamo rilevare anche le differenze tra franchising/venditore porta a porta.
Gli aspetti fondamentali che consentono di distinguere il contratto di agenzia (o intermediazione) da quello di franchising sono almeno i seguenti:

  • nella formula del franchising “commercio”, l’affiliato compie l’atto di acquisto e di rivendita sempre in nome proprio e sempre per proprio conto, come un qualsiasi rivenditore o concessionario, indifferentemente se acquista la merce dall’affiliante o da terzi. L’agente non rivende propri prodotti, ma quelli del mandante;
  • nella formula del franchising “servizi” (inclusa l’attività di mediazione), l’affiliato eroga e svolge direttamente i servizi oggetto del franchising;
  • il contratto di agenzia è specificatamente disciplinato dal Codice Civile agli artt. 1742-1753 (disciplina più volte modificata dalla regolamentazione comunitaria). Inoltre, la regolamentazione collettiva ha disciplinato aspetti molto specifici e pratici del rapporto (anche di lavoro) fra agente e proponente. Ciò significa che è un contratto a sé, con propria regolamentazione e certamente non paragonabile, per forma o sostanza, a quello di franchising;
  • il contratto di agenzia (esercitato in maniera continuativa e abituale) è definito all’art.1742 del Codice Civile, come quel contratto con cui “una parte assume stabilmente, verso corrispettivo, l’incarico di promuovere, per conto di un’altra, in una zona determinata, la conclusione di contratti aventi ad oggetto i prodotti del proponente”. Credo sia facile intuire come tale definizione sia lontanissima da quella che ne giunge da un rapporto di franchising. Infatti, la Legge n.129/2004, definisce il franchising: “…il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. Il contratto di affiliazione commerciale, può essere utilizzato in ogni settore di attività economica”.

Segnalo l’importanza di 3 frasi:

    1. comunque denominato”, sta a significare che il contratto di franchising non può essere “mascherato” sotto altre forme contrattuali e sottrarsi dalla regolamentazione delle legge specifica;
    2. scopo di commercializzare”, sta a significare che non ci può essere attività di intermediazione basata sul “promuovere la conclusione di contratti”, ma una commercializzazione diretta (di beni o servizi) del franchisee;
    3. utilizzato in ogni settore di attività economica”, non significa che il franchising può essere “attuato” in tutte le attività: ci sono attività per l’esercizio delle quali (anche per legge) è espressamente vietata l’applicazione del franchising, ci sono attività alle quali sono applicabili altre forme contrattuali che sono regolate da altre norme specifiche e ci sono attività che sono regolamentate da contratti di franchising, ma che possono (per caratteristiche specifiche) includere altre forme contrattuali secondarie, pur nel rispetto del rapporto contrattuale principale che deve seguire la normativa ad esso attinente;
  • il compenso percepito dall’intermediario in affari (agente, rappresentante, procacciatore, venditore porta a porta, ecc.) assume la forma di provvigione (in genere sugli affari andati a buon fine). Questa norma di legge (Codice Civile) contrasta con tutta la dinamica del franchising dove l’affiliato, nel “commercializzare”, rivende la merce realizzando il suo guadagno maggiorando il prezzo di acquisto per determinare quello di vendita ed eroga i servizi incassando direttamente dall’utente finale. Diversamente, il franchisee agisce in nome e per conto proprio senza compenso per la sua attività. Se vogliamo rimanere nei franchising di intermediazione, esempio, agenzie immobiliari, il franchisee riceve la provvigione dal compratore e dal venditore degli immobili, non dall’azienda franchisor e così tutti i rapporti di intermediazioni basati sul franchising (mediatori creditizi, agenzie di viaggio, ecc.);
  • infine, secondo quanto previsto dall’art. 1751 c.c. e dai CCNL, l’agente (non vale e non si applica ai procacciatori) nel momento di cessazione del rapporto ha diritto ad un’indennità, qualora sussistano alcune condizioni, elemento assolutamente assente nel rapporto di franchising.

Penso che quanto sopra, ma le differenze sono anche altre, riesca a rendere più chiaro e ad avere maggiori elementi per non confondere una “rete di franchising” con una “rete di vendita”.

FRANCHISING: OBBLIGATORIAMENTE E VELOCEMENTE SEMPRE PIU’ LONTANO DAL MLM

La lontananza del franchising dal MLM oggettivamente riscontrabile in ambito normativo non dovrebbe, di per sé, essere elemento di sufficiente tranquillità, ma occorre che tale lontananza aumenti anche in termini sostanziali e, soprattutto, etici. Occorrono delle vere e proprie prese diposizione da parte dell’intero settore e di tutti i suoi attori protagonisti e comparse. Vediamo il perché.
E’ indubbio, a questo punto, che uno dei maggiori problemi non regolamentati nel settore del franchising è proprio l’uso del termine.
Già in in altri interventi ho avuto la possibilità di analizzare provvedimenti della AGCM in tema di pubblicità ingannevole proprio attraverso l’uso della parola franchising.
E’, pertanto, un’autorità a sancire l’ingannevolezza (non raramente accompagnata all’intento fraudolento) di tale modus operandi da parte di imprese, non un’opinione, non la mia opinione. Tale tattica rischia di diventare un pericoloso virus per il “vero franchising”.
Innanzitutto, che si tratti di “strategia e tattica” non ci sono dubbi in quanto:

  • basta partecipare alle presentazioni di alcune aziende MLM autodefinitesi “personal franchising” per riscontrare come l’oratore principale spenda 20/30 minuti a parlare del successo delle più importanti (e vere) catene di franchising disegnando cerchi (spesso denominati Diamante, Smeraldo, Rubino, ecc.) su lavagne ma senza mai entrare in un corretto audit del sistema in presentazione, senza paragonare tecnicamente le due metodologie distributive e, soprattutto, senza mai parlare del vero know-how che sta a monte dei veri sistemi di franchising. Risultato: gli auditori hanno una formazione distorta su cosa sia realmente il franchising (problema già di per sé presente in molti potenziali franchisee tradizionali che, in questo modo, peggiorerà nel tempo);
  • basta utilizzare un semplice motore di ricerca ed individuare annunci di “personal franchising” (in rete sono presenti anche siti aventi tale denominazione) che offrono elevati guadagni con poche ore di lavoro, magari anche da casa telefonando solo ad amici, parenti e conoscenti e senza vendere alcun prodotto, e trovare tabelle di paragone tra franchising e personal franchising che l’utente (ignaro) può prendere per valide, memorizzarle e tenerne conto in futuro anche quando si troverà innanzi ad un eventuale colloquio con un vero franchisor;
  • basta che gli operatori MLM si presentino in giro con il marchio del prodotto in abbinamento della parola “personal franchising” per far percepire ai consumatori di trovarsi di fronte ad un sistema di franchising che, come noto, basa la validità del suo sistema anche su concetti di affidabilità;
  • coloro che sanno veramente cos’è il franchising (e lo sanno bene anche i guru del marketing che operano in malafede) hanno ben chiaro che la parola “personal” (o “individuale”) è in netto e assoluto contrasto rispetto allo spirito cooperativistico e collaborativo sul quale si basa proprio il franchising nella gestione dei rapporti tra le parti contrattuali, da un lato, e tra tutti i componenti il sistema, dall’altro. Considerato che molti non conoscono neanche le caratteristiche estrinseche del franchising, figuriamoci se sono a conoscenza di quelle intrinseche. Quindi, l’uso del termine, diventa una mera operazione di convincimento per il reclutamento;
  • basta leggere questi stralci pubblicitari per rendersi conto che in tali contesti non sono presenti le benché minime nozioni aziendali di “imprenditore”, ma, al contrario, è ben presente l’arroganza di voler trasferire i migliori, i più efficaci ed i più efficienti concetti di economia aziendale: “questa nuova formula di business, infatti, produce centinaia e centinaia di nuovi imprenditori ogni anno e riesce a dare lavoro a chi ha sempre sognato di mettersi in proprio, avviando da sé una vera e propria attività autonoma”. Poi possiamo anche leggere, tra i consigli: “è assolutamente fondamentale che tenga i tuoi lavori completamente separati. Che vuol dire non leggere o scrivere le tue email relative al tuo nuovo business durante gli orari d’ufficio, non utilizzare il software o hardware di proprietà dell’azienda di cui sei dipendente per creare i tuoi contatti,  presentazioni ecc.”. Ed ancora: “Ecco perché oggi molte persone sfruttano la formula del Personal Franchising. I motivi sono: guadagni illimitati, crescita e carriera all’interno dell’Azienda, possibilità di svolgere l’attività part-time, supporto e assistenza da parte dell’azienda erogatrice”. Infine, il top: “Non è richiesto di vendere un prodotto per guadagnare!”;
  • per ottenere il risultato, si attinge anche all’uso di aspetti e caratteri etico-sociali. Infatti, nell’esplorazione di questo particolare mondo del “personal franchising”, potrebbe capitare di veder accostato tale sistema al “micro franchising”, che, invece ha fondamento certamente più nobili, come vedremo brevemente di seguito.

In conclusione, ho parlato di “virus” perché (pur nel rispetto delle aziende MLM assolutamente corrette) questi sistemi sono certamente fragili ed il rischio di vederle coinvolte in qualche problematica di carattere legale è alquanto elevato. Dopo il caso Tucker, che fu certamente dannosissimo per l’immagine del franchising, il settore chiese a gran voce la nuova legge sul franchising e la legge sulle Catene di S.Antonio. Queste sono arrivate, e dopo le prime barriere, il virus si è geneticamente modificato: il settore non può continuare a non reagire innanzi all’attacco di tali virus replicanti i quali, oltretutto, diffondono indisturbati il loro verbo a centinaia e centinaia di soggetti, mentre, (non neghiamolo) permangono le difficoltà nell’organizzare incontri, seminari, meeting, ecc. per illustrare il vero franchising.

Gli operatori del settore hanno il dovere (a propria tutela ed a quella dei consumatori) di gridare con orgoglio che il “personal franchising” (alias, “franchising individuale”, “franchising personale”, “private franchising”, “franchising privato”, “non-public franchising”), non ha niente a che fare ed a che vedere con il franchising: ma forse sono occupati in altro.

commenti
  1. […] Ho già avuto modo di affrontare argomenti di tale natura con “Microfranchising: la verità e la mancanza di vergogna”, “Reti, vendite e piramidi: bene chiarire, meglio distinguere – I” e “Reti, vendite e piramidi: bene chiarire, meglio distinguere – II”. […]

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