– § – PILOTAGE: SFATIAMO (PIU’ DI) UN MITO (E QUALCHE “DIVO”) – § –

Il contratto per mezzo del quale è possibile assolvere ad uno dei due obblighi di sperimentazione prima di costituire una rete di affiliazione commerciale è troppo frequentemente oggetto di descrizioni di caratteristiche giuridicamente infondate

Con una legge sul franchising risalente al 2004 (quindi ormai diciottenne e matura), essere costretti a controbattere delle fandonie giuridiche direi che sia alquanto vergognoso nei confronti del termine “professionalità” e della relativa e necessaria presenza in un settore che abbraccia così fortemente temi e materie giuridiche, economiche, aziendali, tecniche, commerciali, ecc.. Un settore tra i più completi proprio in termini professionali e che obbligatoriamente richiede proprio la presenza di operatori professionali.

Nonostante sia ancora molto diffusa la prassi di non rispettare il corrispondente obbligo di legge, il concetto “necessaria sperimentazione” e “obbligatoria sperimentazione” ancora non è ben consolidato, né tra gli imprenditori, né in e tra molti operatori assolutamente professionali del settore.

Queste affermazioni non giungono per mera invenzione, ma da dati oggettivi e dalle “tracce” che sono lasciate in giro.

Sulla “necessità” e sulla “obbligatorietà” della sperimentazione invito a leggere “Un sogno di mezza “impresa” (anche se in franchising)”, oltre ai vari articoli reperibili sulle varie testate, sicuramente su AZ Franchising.
Vi è poi da aggiungere la famosa “fandonia”, il notissimo “obbrobrio economico diffuso da istituzioni, professionisti, autori, editori e tanti altri, il famoso concetto astruso e infondato che “per la sperimentazione basta un anno”. Per questo tema invito a leggere “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economici !!!”, oltre ai vari articoli reperibili sulle varie testate, sicuramente su AZ Franchising.

In aggiunta a quanto sopra, purtroppo, occorre sfatare un’altra fandonia divulgata (dalle stesse fonti e dagli stessi divulgatori) e non avente alcun fondamento giuridico e, non raramente, resa nota e pubblicata con articoli, relazioni, interventi, seminari, ecc. anche alquanto contraddittori.

Nel caso di questo intervento, mi riferisco alla durata del “contratto di pilotage, tema per il quale occorre un’ulteriore specializzazione professionale ad integrazione di quella necessaria per effettuare interventi consulenziali in materia di franchising.
La fandonie diffuse sulla durata del contratto di pilotage si basano su alcune affermazioni alle quali il pubblico non può che dare credito non potendo essere a totale conoscenza delle informazioni tecniche utili e necessarie a valutare le stesse affermazioni.
Inoltre, gli elementi su cui sono basate tali fandonie sono i medesimi sui quali poggia la ormai famosissima fandonia del “basta un anno” (per la sperimentazione).
La circostanza porta a dover rilevare, leggere, ascoltare, rintracciare (serene) dichiarazioni le quali intendono affermare che la durata di un contratto di pilotage sia pacificamente riconosciuta (da chi?) “non superiore a un anno” dando, prima di tutto, un calcio all’Articolo 1322 del Codice Civile sul quale normativamente poggia l’intera struttura contrattuale.

Ora, può essere mai condivisibile leggere e veder divulgato (in merito alla sperimentazione) che “secondo una tesi, la sua mancanza, invocata da un franchisee in giudizio, può determinare la nullità del contratto di franchising per responsabilità del franchisor”, quindi, far comprendere la delicatezza e l’importanza di tale fase, per poi rilevare la precisazione che “l’esito di questa sperimentazione deve poter essere misurabile in termini economici, quali risulteranno dal bilancio di esercizio” e poi vedere affermato che “…il contratto di pilotage ha una durata circoscritta nel tempo, almeno pari a quella della sperimentazione necessaria per testare la formula commerciale, e dunque inferiore a quella che deve avere un contratto di franchising, per il quale la legge prevede una durata minima di tre anni” ? No, non è condivisibile, per niente.
Ma da dove deriva il termine temporale “almeno pari a quella della sperimentazione” se non esiste un termine legale per la sperimentazione?
Ma come si arriva, usando la parola “dunque”, alla deduzione che la conclusione della sperimentazione e la durata di un accordo consapevolmente sottoscritto per eseguire la stessa siano (“dunque”) inferiori al minimo della durata del contratto di franchising, cioè, tre anni?
Ma non giunge minimamente a destinazione il pensiero che ogni settore, ogni attività, ogni singola attività (e anche se medesima di altri imprenditori), ogni marchio, ogni sistema, ogni formula, ecc., abbiano tutte le loro specifiche caratteristiche o impostazioni che non possono essere le medesime per tutti i tipi di sistemi di franchising in preparazione?
Può mai essere e può mai coincidere, anche nel caso di pilotage, così come per il più generico concetto di sperimentazione, “solo un anno” come medesimo lasso di tempo per sperimentare una ristorazione con 200 posti a sedere, rispetto ad un ambulante con furgoncino?
E una ristorazione rispetto ad una agenzia immobiliare?
Ma come è possibile sostenere tali tesi nell’impunità professionale (ed economica) da parte di imprenditori che rischiano di mettere a repentaglio la loro azienda in quanto (come affermato nelle dichiarazioni sopra) una “insufficiente sperimentazione” può senz’altro essere considerata, nei contenziosi, una “assente sperimentazione” dato che “la sua mancanza (…) può determinare la nullità del contratto di franchising”?

Ancora, può essere mai condivisibile leggere e veder divulgata la (giusta) avvertenza che “stipulare un contratto di franchising senza avere sperimentato (adeguatamente) la formula commerciale o senza avere creato una rete di affiliati dia luogo a conseguenze assai gravi, ovvero alla nullità del contratto, con conseguenti pretese di risarcimento dei danni in capo all’affiliato”, poi veder chiarito che “la serietà con cui deve essere condotta la sperimentazione implica che quest’ultima non può avere durata irrisoria, ma deve avvenire per un tempo sufficiente a testare effettivamente il sistema, tenuto conto delle sue peculiarità, in modo da produrre un risultato attendibile”, per poi vedere integrato e precisato che il contratto di pilotage “…prevede condizioni economiche più favorevoli rispetto ad un normale contratto di franchising (…), dato che non si sa ancora se la formula commerciale avrà successo” ed è un contratto “di assai più breve durata del contratto di franchising (generalmente non più di un anno)”? No, non è condivisibile, per niente.
Senza contare (anzi, tenendo ben conto) l’ulteriore (contraddittoria) integrazione formulata con il (giusto) suggerimento di conservare “…la documentazione attestante che (…) la sperimentazione è [sarebbe “sia”, nda] stata effettivamente condotta, per un periodo di tempo sufficientemente lungo”, invitando a tenere in archivio il contratto (non credo che qualcuno arrivi a distruggerlo), e che la sperimentazione “…è [sarebbe “sia”, nda] stata superata positivamente”, invitando a tenere in archivio “…le risultanze (positive) della sperimentazione: rendiconti, bilanci, relazioni, meglio se di terzi (ad esempio esperti o periti), etc.”…
Cioè, oltre alla parola “bilanci”, che è plurale non conciliabile con “un anno”, tutta una serie di (giuste e opportune) prove precostituite che dovrebbero essere “affidabili” per considerare “valido” l’esercizio di una impresa svolto in un solo anno, che neanche coincide con una qualsiasi start up di una qualsiasi attività e includerei in tale concetto anche una panetteria che cambia gestione, figuriamoci un sistema di franchising.

Ma non avete notato che gli esempi sopra portano a due tesi diverse?
La prima: “…inferiore a quella che deve avere un contratto di franchising, per il quale la legge prevede una durata minima di tre anni“, quindi, da uno a due (o a tre?).
La seconda: “…assai più breve durata del contratto di franchising (generalmente non più di un anno)“.

Sipario (e sono solo due esempi).

Leggendo l’Articolo 1322 del Codice Civile, possiamo comprendere che è dalla (lecita) libertà contrattuale che occorre prendere spunto e che alle affermazioni sopra esposte (che sono esempi tra i vari reperibili) non si possa che esprimere assoluto parere contrario:
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative.
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare
[Articolo 1323], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.

Tale ultimo concetto (profilo di autonomia delle parti) attiene al tipo contrattuale in quanto i contraenti non sono tenuti ad adottare le fattispecie individuate dalla legge, ma possono anche creare nuovi contratti se questi sono più adatti a regolare i loro rapporti. Tali “nuove figure” devono, però, realizzare interessi che l’ordinamento ritiene degni di tutela e questo controllo è affidato al giudice in via successiva, non potendo provvedervi la legge in via preventiva.
Il contratto di franchising nasce e ha origine proprio da questo articolo, la cui regolamentazione con una norma (L.129/2004) nasce proprio dall’autonomia contrattuale e che, oggi, lo rende ancora un “contratto atipico” (non citato dal Codice Civile), ma, appunto, un “contratto regolamentato” e all’interno di tali regole c’è proprio l’obbligo della preventiva sperimentazione e della preventiva creazione di know how.

Pertanto, esempio, al fine di fornire da parte del potenziale franchisor ad un eventuale giudice la prova della “meritevolezza di tutela” di un contratto di pilotage avente ad oggetto e come obiettivo la sperimentazione della complessa formula commerciale (oltre alla predisposizione del know how conseguente da prove) prima di costituire una affiliazione commerciale, così come la legge impone, se la durata della sperimentazione (purchè vera, reale e documentabile) regolamentata da un contratto di pilotage di durata in cinque anni, tale giudice  – ATTENZIONE ALLA DOMANDA – considererà più “meritevole di tutela” un contratto di pilotage di cinque anni o uno di un anno, decorso il quale (sulla base di quelle strane teorie) un neo franchisor può andare in giro a vendere la sua formula commerciale a terzi ad un tot di decine di migliaia di euro?
Inoltre – ATTENZIONE ALLA SECONDA DOMANDA – considerando che il soggetto che collabora alla sperimentazione investe in una attività autonoma e indipendente prendendosi il rischio di impresa con esborsi di denari per strutturare il suo punto pilota, è più tutelante per lui avere una durata maggiore per il contratto di pilotage, oppure un tempo breve? Ovvio che il tutto andrà regolato in considerazione dei risultati economici che deriveranno da quel punto pilota.

…la situazione è veramente stancante…

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