– § – FRANCHISING: L’ESCLUSIVA DI ZONA DEVE ESSERE EFFETTIVA – § –

Il patto di esclusiva di zona non si può eludere con schermi e schemi societari

Tra i tanti casi di “stranezze contrattuali” che si possono rilevare da una vera, effettiva ed approfondita consulenza contrattuale (che richiede conoscenza e preparazione specialistica), alcuni sono dei veri e propri tentativi di tecniche alquanto raffinate che meritano molta attenzione e che, allo stato dei fatti e in conclusione, si basano sul “farla franca” (tecnica del “giocatore di poker”) e sul “finchè le cose vanno bene vuol dire che è tutto fatto bene” (tecnica del “fatalista”), ma, soprattutto, producono solo una duplice illusione a temporaneo ed esclusivo beneficio di professionisti incaricati allo studio e alla elaborazione dei testi per tali tipi di contratti che, al termine di tale attività, emettono notule alquanto salate:

  1. la prima illusione è nei confronti dei franchisor (affilianti) che pensano di aver ottenuto l’uso legittimo di furberie e, così, aver speso bene i loro soldi nella consulenza contrattuale affidata che produrrà l’albero dei soldi d’oro;
  2. la seconda illusione è nei confronti dei franchisee (affiliati) che pensano di aver ottenuto una importante esclusiva (zona) e aver speso bene i loro soldi nell’adesione ad una rete che “li protegge”.

In pratica siamo innanzi ad una comunità di “illusionisti” e di “illusio-nati”.

Dopo quanto già riportato nel datato intervento “Il #franchisor non deve giocare a zona la partita del #franchising” (2017) di seguito un altro interessante contributo sul tema che ci giunge sempre dal Tribunale di Milano e risalente al 2019 (anch’esso ormai datato).

Il caso trattato dal Tribunale riguarda una causa vinta da un affiliato nei confronti di un affiliante operante nel settore “intermediazione immobiliare” il cui rapporto contrattuale era caratterizzato, tra le altre condizioni e clausole, dalla concessione in esclusiva di una specifica zona ritenuta, da parte dell’affiliato, violata dall’affiliante.

Il Tribunale formula una premessa specificando come il patto di esclusiva sia “una clausola di grande rilevanza nel regolamento negoziale cui afferisce la tipologia dell’affiliazione commerciale, poiché ha forte peso specifico nell’equilibrio sinallagmatico: essa costituisce una maggior prospettiva di guadagno per il franchisee ed incide sulla misura economica della controprestazione che questo rende. L’inadempimento di un simile patto appare serio e idoneo a titolare la risoluzione del contratto”.

Detto questo, l’affiliato aderente al marchio/insegna X con affiliante la XXX srl, ha contestato la violazione di tale zona in quanto nella stessa era stata aperta un’altra agenzia di intermediazione immobiliare operante con marchio/insegna Y. Come è possibile, quindi, considerare una violazione di zona la presenza di una attività concorrente in un libero mercato? Semplice.

In realtà, il marchio/insegna X al quale aderiva l’affiliato era appartenente alla XXX srl e tale società era controllata dalla società YYY spa proprietaria del marchio/insegna Y. Cera violazione quindi? Il franchisor sosteneva erroneamente di no (qualche professionista doveva aver certamente rassicurato in merito), ma invece la violazione sussiste (come era logico che fosse).

Infatti, considerato che le due società facevano parte del medesimo gruppo societario operante nello stesso ambito commerciale e con adozione della formula contrattuale di affiliazione commerciale, si ravvisava un inadempimento attraverso una cattiva distribuzione della rete commerciale determinando “una lesione delle disposizioni pattizie che lo vincolavano ad un affiliato, ha violato, cioè la clausola di esclusiva”.

Infatti, il Tribunale ha precisato che “Il contratto di affiliazione commerciale, del resto, non costituisce negozio di mero scambio, che vede il pagamento di royalties come contropartita allo sfruttamento di una certa formula ed immagine commerciale, la sua natura, al contrario è fortemente caratterizzata dalla collaborazione. Si tratta, cioè di una tipologia in cui l’affiliante, per il tramite delle filiali, ottiene una maggior penetrazione territoriale per la vendita dei suoi prodotti o servizi, a fronte dell’ottenimento di una formula commerciale collaudata da parte dell’affiliato: entrambi perciò mirano ad instaurare un rapporto collaborativo di durata volto a generare reciproci profitti.
Un siffatto rapporto, ancor più rispetto ad un contratto di mero scambio, deve essere improntato alla buona fede ex art 1175 c.c. e 1375 c.c., nel momento genetico, ma ancor più in quello funzionale, che implica l’obbligo dell’affiliante a predisporre una rete commerciale equilibrata sul territorio al fine di garantire, da un lato, nel proprio interesse, una più efficace penetrazione dello stesso, dall’altro, nell’interesse di controparte, onde evitare una concorrenza intestina tra affiliati. Ciò è confermato dall’art 4, lettere d) ed e) della L. 129/2004, il quale prevede tra gli obblighi dell’affiliante quello di consegna della lista degli affiliati e la comunicazione annuale sulle variazioni.
Questo ancor più ove siano stati stipulati patti per lo sfruttamento in via esclusiva di una zona territoriale: in tal caso il Franchisor deve garantire lo sfruttamento al proprio affiliato, impedendo che il medesimo bacino di clienti venga attinto da parte di altri franchisee.
Tale obbligo vale anche nell’ambito di un gruppo di società. Cioè l’obbligo di esclusiva e, più in generale, la prevenzione di concorrenza interna, deve intendersi riferito al gruppo, interamente considerato. Infatti, la considerazione di parte convenuta circa la diversità soggettiva tra Xxx e Yyy risulta solo formale e comunque non vale a vincere una responsabilità di gruppo, in forza del principio della corretta gestione societaria evidenziato dall’ art 2497 c.c., anche in forza di una lettura di buona fede: sostanzialmente la controparte dell’attore risulta essere il Gruppo, di cui Xxx è parte e cui Yyyy fa capo, in quanto titolare del medesimo know-how e della medesima organizzazione, che, con due società del medesimo gruppo ciascuna con una rete, vengono venduti due volte sul medesimo territorio.
Infatti, al di là della diversità di insegna, l’esercizio nello stesso settore presuppone un knowhow comune all’intero gruppo che è stato sviluppato ed esteso alle società satellite; pertanto l’azione concorrenziale esercitata da una agenzia Yyy nella zona di esclusiva di Xxx non costituisce concorrenza esterna, perpetrata lecitamente da altra rete, traducendosi piuttosto in una lotta intestina al medesimo circuito e condotta con le stesse armi, per accaparrarsi l’ultimo immobile disponibile in zona, mentre l’affiliante percepisce due volte le royalties
.
L’esito di queste considerazioni, superata un’impostazione meramente formale legata a quale società risulti firmataria dell’accordo (…), è la violazione del patto di esclusiva da parte del gruppo; ciò comporta un inadempimento, come detto, grave e la risoluzione del contratto con addebito al Franchisor, con la conseguente legittimità della comunicazione di recesso di parte attrice…”.

Concludo mettendo in evidenza due importanti considerazioni:

  1. il Tribunale, oltre ad annullare il contratti, ha praticamente annullato (esponendone i motivi) la reciproca richiesta di risarcimenti, restituzioni importi, ecc., ma ha condannato il franchisor a sostenere le spese processuali per un importo di € 14.773,00+CPA+IVA e spese forfettarie del 15%. Questo per un solo affiliato e occorrerebbe comprendere gli effetti ed il potenziale contenzioso su altri appartenenti alle stesse reti dell’intero Gruppo, non solo del marchio di diretto interesse;
  2. i due marchi, cioè, i franchisor (e tutto il gruppo societario), sono tra i marchi più noti del mercato, ritenuti tra quelli rientranti nel “bel franchising” e tra i più apprezzati “ambasciatori” del settore con tanto di supporto e tappeti rossi da parte di chi il settore lo rappresenta: complimenti, altri nomi illustri da aggiungere alla lista.
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