– § – FRANCHISING: ACCORDO DI RISERVATEZZA IN FASE PRECONTRATTUALE, SI O NO? – § –

La prassi adottata da molti franchisor nel corso della consegna delle informazioni precontrattuali e nel corso delle trattative può destare alcune perplessità, ma tale prassi è assolutamente corretta. Vediamo perché

Destano sempre curiosità (e sorpresa) i dubbi che ogni tanto emergono nel dibattito sul tema franchising rispetto alla prassi attuata (giustamente, a parere di chi scrive) da molti franchisor che (in varie forme e modalità) fanno sottoscrivere e rilasciare da parte di potenziali affiliati un accordo di riservatezza e di segretezza (o NDA – Non Disclosure Agreement) nel momento in cui procedono alla consegna della documentazione contenente le informazioni precontrattuali obbligatorie per legge (vige l’obbligo di consegna “materiale”, tra l’altro). Non solo, a ciò occorre aggiungere che tale documentazione è quasi sempre accompagnata anche da altri documenti e da altre informazioni derivanti da necessità “preventive” (si pensi al rischio di ingannevolezza, ad esempio) che giungono dalla conoscenza di importante e fondamentale giurisprudenza ordinaria e amministrativa e anche da opportunità “integrative” per fornire ulteriori elementi di valutazione per una reciproca scelta che dovranno operare ambedue le parti.
Non di meno, superato il momento della mera (ma non semplice) messa a disposizione/consegna di tali documenti, di norma il flusso informativo e documentale continua anche nel corso di vere e proprie trattative ritenute necessarie o utili alle parti per giungere alla formale sottoscrizione della contrattualistica.
Apparentemente sembra tutto normale, logico, consolidato, ordinario…però…

Però (e “purtroppo”, occorre dirlo), periodicamente emergono voci ed opinioni contrarie alla prassi descritta. Difficile individuare la vera causa di questo “fenomeno”. Una delle ipotesi potrebbe essere l’eccesso di superficialismo e di inopportuna ipersemplificazione che è sempre più un vero e proprio “stile di vita”, ma si può tranquillamente sostenere (sulla base di tante altre affermazioni divulgate nel settore da leggere nel loro insieme) che (i) la sempre più frequente assenza di conoscenza giuridica e di approfondimenti normativi (anche in questo caso, nella loro visione di insieme) e (ii) la carente formazione e preparazione tecnico-giuridica di alcuni operatori che costituiscono una “parte dell’offerta” presente sul mercato (ascrivibile alla sezione “consulenti al franchising”), in abbinamento (iii) alla scarsa cultura di chi costituisce una “parte della domanda” di tale mercato (spesso anche di imprenditori) ignara di avere una (iv) reale necessità di una assistenza e di una consulenza altamente professionale e specialistica, sono solo alcune delle condizioni che possono generare (anzi, generano) una errata e distorta idea di quanto sopra descritto. Ma non è finita, “purtroppo”.
Infatti, in tutto questo, molta importanza la assume anche la (impunita) divulgazione di “secondo me”. Trattasi della diffusione di tali tipologie di affermazioni “ipersemplificatrici” che, grazie alla troppa facilità di poter comunicare per mezzo di social e di altri strumenti di comunicazione di massa senza alcun “filtro” preliminare, non fa altro che contribuire (fortemente) a produrre errate convinzioni in molti utenti che, sotto un vero e proprio “attacco e assalto squisitamente pubblicitario e imbonitorio”, pensano e credono veramente di ricevere informazioni, corrette, legali e di cultura aziendale.
Senza dubbio, il tema è molto vasto e le precisazioni da fare sarebbero moltissime. pertanto, quanto segue non potrà certo ritenersi un’a ‘esposizione esaustiva, ma l’obiettivo è quello di costituire (almeno) un primo punto di riferimento per una profonda riflessione in merito e di suggerire anche un indirizzo operativo a chi intende effettuare un’analisi non superficiale su tale argomento, cercando anche di semplificare al massimo qualsiasi ragionamento.

Partiamo da due tesi (più una) che, a mio parere, generano spesso confusione sul tema.

La prima, ci giunge dalla nota caratteristica della Legge n.129/2004.
Che la stessa legge sia una norma indirizzata alla “trasparenza preliminare” non ci sono dubbi. Sostenere che, data questa caratteristica, qualsiasi riservatezza nella fase preliminare sia da considerare inutile o non dovuta proprio perché l’obiettivo è la trasparenza, è affermazione che non ha alcun fondamento, né giuridico, né aziendale e neanche, direi, strategico.
Infatti, stando al tenore letterale della norma e, direi, anche delle disposizioni civilistiche generali in tema di trasparenza contrattuale, tale requisito è perfettamente assolto nel momento in cui si forniscono e si consegnano pedissequamente proprio le informazioni previste dalla legge (assolutamente carente al riguardo, tra l’altro) e la trasparenza, così come la lealtà contrattuale, ecc. sono anche maggiori nel momento in cui sono aggiunte altre informazioni non obbligatorie e per le quali chiedere riservatezza e segretezza può costituire una reale necessità in quanto tese ad assolvere, a loro volta, una necessità di carattere civilistico.

La seconda, parte da un assunto ed è un punto alquanto importante.
In una qualsiasi azienda, sia “non franchisor”, sia “franchisor”, di segreto non esiste solo il know how richiamato dalla L.129/2004 (il “protagonista” più noto e famoso) e questo bene immateriale non è il solo elemento ad avere la necessità di essere protetto (protezione a carico del franchisor, tra l’altro).
Pertanto, non è per niente corretto sostenere che:

  • siccome il know how è il vero segreto della franchise e questo verrà trasferito successivamente alla sottoscrizione del contratto di affiliazione commerciale, allora prima di tale sottoscrizione non c’è niente da tener riservato e segreto, tutt’altro;
  • siccome il know how è contenuto (insieme ad altri “segreti”) nel Manuale Operativo e nella formazione/aggiornamento (affermazioni incomplete) e siccome tutto questo viene consegnato/erogato dopo la sottoscrizione del contratto, allora nella fase precedente non c’è niente da tenere riservato e segreto.

Per ambedue le tesi trattasi di eresie giuridiche (casistica ricorrente nel mondo della consulenza al franchising, insieme a tante altre eresie ed a insopportabili obbrobri di tipo economico che vengono divulgati con marcata faciloneria), ma trattasi anche eresie aziendali.
Il “pensiero” va a quegli imprenditori che si affidano serenamente ai consulenti che sostengono tali tesi e che sono sempre più rispetto a anni fa. Ciò, tra l’altro, nonostante l’innalzamento dei tassi di scolarizzazione e formazione personale e professionale…ma le neuroscienze hanno fatto passi da gigante in termini di convincimento senza conoscenze.

Di seguito provo a sintetizzare, ma prima occorre fare cenno ad una terza tesi che è quella che si basa sulla sfiducia del sistema giudiziario nazionale nel far valere i propri diritti in caso di violazione della segretezza e della riservatezza da parte di terzi o di terzi entrati in contatti con altri terzi e così via.
In sostanza, con tale tesi, si sostiene che trattasi di un documento ed una prassi inutile in quanto non consentirà mai di far valere i propri diritti eventualmente lesi, anche per i tempi della giustizia nazionale, della bucrazia, dei costi, ecc.. Direi che questa tesi, che meriterebbe una trattazione a parte, si pone al di fuori della presente analisi, ma non posso esimermi dal precisare che i vantaggi di un accordo con inserimento di una clausola penale sono:

  • funzione di deterrenza;
  • definizione di un’entità di risarcimento predefinito e noto;
  • mitigazione del rischio da rivelazione di quella parte del segreti e know how “iniziali”.

Analizzato quanto sopra, uno dei punti di riferimento da prendere in considerazione per comprendere cosa sia da tutelare in un’azienda (franchisor o no), è il D.Lgs.10 febbraio 2005, n.30 (Codice della proprietà industriale o CPI) e, in particolare, l’Articolo 98 (Oggetto della tutela) e l’Articolo 99 (Tutela), commi 1 e 1-bis. Vediamoli.

L’Articolo 98 (Oggetto della tutela) recita:
1. Costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche”.

L’Articolo 99 (Tutela), ai due commi citati, recita:
1. Ferma la disciplina della concorrenza sleale, il legittimo detentore dei segreti commerciali di cui all’articolo 98, ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali segreti, salvo il caso in cui essi siano stati conseguiti in modo indipendente dal terzo.
1-bis. L’acquisizione, l’utilizzazione o la rivelazione dei segreti commerciali di cui all’articolo 98 si considerano illecite anche quando il soggetto, al momento dell’acquisizione, dell’utilizzazione o della rivelazione, era a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che i segreti commerciali erano stati ottenuti direttamente o indirettamente da un terzo che li utilizzava o rivelava illecitamente ai sensi del comma 1”.

Gli articoli sopra devono essere letti in combinato disposto con gli articoli relativi alla concorrenza sleale normata dal Codice Civile e, qualora le azioni illecite abbiano come oggetto informazioni che non rientrano nella definizione di segreto commerciale ai sensi dell’Articolo 98 CPI, ad esempio nel caso di sottrazione di informazioni non sottoposte ad adeguate misure di segretezza, è applicabile l’Articolo 2598, n.3, del Codice Civile qualora sussistano i requisiti prescritti per la concorrenza sleale.

Ma quali misure possono essere considerate adeguate affinché le informazioni oggetto di un segreto commerciale rimangano segrete? Possiamo sintetizzare il tutto in due concetti:

  1. preventivamente, occorre dire che non è richiesta l’assoluta inaccessibilità delle informazioni, ma l’acquisizione di tali informazioni non deve essere facile, agevole e deve essere necessario uno sforzo non ordinario per la loro acquisizione. Infatti, possono ritenersi segrete tutte quelle informazioni che non possono essere assunte dall’operatore con tempi e costi ragionevoli;
  2. secondariamente, tali misure sono da valutare con un giudizio ex ante, ossia ragionando come se l’eventuale sottrazione illecita delle stesse non fosse ancora avvenuta.

Le informazioni che possono essere oggetto di segreto commerciale sono moltissime e spaziano su molti temi potendo comprendere, ad esempio:

  • aspetti tecnici, questi potrebbero essere oggetto di brevettazione;
  • conoscenze derivati dall’esperienza della gestione imprenditoriale, come ad esempio le analisi di mercato, le liste clienti/fornitori, le strategie di marketing/advertising, le campagne, gli strumenti e le tecniche promozionali, i risultati di sperimentazioni, i dati di redditività (di affiliati o di punti operativi operativi propri, per il franchising), i margini, le caratteristiche di approvvigionamento, ecc., ecc., ecc.. Queste conoscenza possono (devono) essere oggetto di protezione, ma non possono esserlo di brevettazione e, quindi, non possono dare luogo ad un titolo di proprietà industriale.

Di conseguenza, se, da un lato, con la brevettazione è possibile ottenere un titolo di proprietà industriale con una durata limitata nel tempo, dall’altro, un segreto commerciale può rimanere (teoricamente) un segreto per sempre, ma lo sarà solo fino a quanto terzi non giungano ad avere le stesse informazioni indipendentemente dal legittimo detentore.

A causa della vastità delle informazioni e delle diverse esigenze del legittimo detentore, non è possibile individuare a priori una strategia di tutela ed è sempre consigliabile ricorrere alle competenze di un professionista specializzato al fine di valutare di volta in volta la tutela migliore in base alla tipologia delle informazioni ed alle esigenze del legittimo detentore.

Precisato quanto sopra e tornando al tema dell’intervento, ritengo sia alquanto agevole e direi anche alquanto “intuitivo”, ma aggiungerei anche alquanto “obbligatorio”, affermare che nel franchising un accordo di riservatezza-segretezza in merito a tutto quanto viene consegnato/trasferito ad un potenziale affiliato nella fase preliminare si renda assolutamente dovuto e ciò, sia al primo approccio, sia di ulteriori e successivi contatti e rapporti interlocutori.
Non solo, una tale richiesta è da estendere anche a soggetti terzi che possono ricevere (per vari motivi) tali informazioni/documenti.
Questo “secondo livello” di tutela è quello più difficile da regolamentare in quanto, di tale livello, ne sarà responsabile il potenziale affiliato, salvo obblighi specifici ai quali darò cenno più avanti.
Quanto appena precisato non è una novità nel settore, anzi, costituisce una vera e propria prassi consolidata a livello internazionale e, seppur siano sempre interessanti le conoscenze dei vari mercati del globo, rimaniamo comunque nel contesto europeo con due esempi:

  1. Se prendiamo, ad esempio, il Codice Etico del Franchising Europeo, da intendersi come “suggerimento” generale, ma applicabile dalle associazioni aderenti alla European Franchise Federation (pertanto applicabile dalle reti nazionali aderiscono ad associazioni nazionali facenti parte di EFF), all’Articolo 2 (Principi Guida), comma 2.2. (Gli obblighi dell’Affiliante) e al punto VIII, troviamo che l’affiliante:
    dovrà, nella fase preliminare, contrattuale e post contrattuale del rapporto con gli Affiliati, cercare di evitare qualsiasi utilizzo illecito o, in particolare, la divulgazione del know-how alla concorrenza al fine di non pregiudicare gli interessi della rete”.
    Pongo in evidenza la frase “nella fase preliminare” che, pur richiamando il know how, si riferisce e richiama un aspetto temporale che smonta le tesi riportate in apertura e pone al centro solo “gli interesse della rete”, un’ampia definizione che comporta la necessità di una tutela ad ampio raggio e a carattere “immediato”. Ovviamente, bene ripetere, trattasi di un documento che non vincola universalmente gli operatori del settore (non è una norma), ma solo gli aderenti alle associazioni che, a loro volta, aderiscono alla EFF.
  2. Se poi vogliamo dare uno sguardo alla prassi adottata in Francia, paese europeo a più alta diffusione/applicazione dello strumento “franchising” e dove la cultura del franchising, di tipo aziendale e consulenziale, è avanti anni luce rispetto all’Italia, allora è “assolutamente normale” ricevere:
    a) consigli legali di tal natura con addirittura ulteriori (e corretti) suggerimenti per introduzione di clausole penali:
    Il est légitime pour le franchiseur de se poser la question de la confidentialité. Il fournit des informations confidentielles au candidat franchisé avant même la signature du contrat.
    Il est conseillé de faire signer une clause de confidentialité au candidat afin de renforcer la sécurité de ces informations. Il peut également être possible de mettre une clause pénale, obligeant à verser un montant déterminé à la tête de réseau en cas de rupture de cet engagement de confidentialité”;
    b) assistenza e consulenza di come predisporre il Documento di Informazione Precontrattuale (DIP) e trovare in elenco tra le “cose da fare” la predisposizione di una “Lettre d’accusé de réception et de confidentialité”.
    Occorre dire che in Francia il DIP è espressamente citato nella norma di riferimento e, pertanto, trattasi di un obbligo universale per tutti gli operatori del settore, anzi, di più settori, considerato che tale norma non si applica solo al franchising, ma a tutte le forme di reti commerciali che operano con il medesimo marchio (licensing, partenariato commerciale, coop, consorzi, ecc.).
    Attenzione, la norma francese non prevede espressamente la predisposizione di un accordo di riservatezza-segretezza e qualsiasi “suggerimento” o “regolamento associativo” in merito a tale accordo formulata da associazioni transalpine sono e rimangono impegni per i franchisor che aderiscono a tali associazioni, ma l’opportunità in merito alla predisposizione di tale documento si inserisce solo ed esclusivamente in un ambito giurisprudenziale di tutela a fini legali e di prevenzione (della rete).
    Alcuni esperti sostengono che in Francia la predisposizione di accordi di riservatezza-segretezza giunga proprio dal fatto che il DIP è “obbligatorio” per legge, mentre in Italia non c’è alcun riferimento in merito. Trattasi di tesi infondata nella forma e nella sostanza in quanto la normativa italiana prevede anch’essa uno specifico elenco di informazioni da “allegare” alla bozza di contratto e il loro insieme costituisce il “pacchetto informazioni precontrattuali”. Anche se la norma nazionale non specifica (a mio parere dandolo per scontato e nel tempo la giurisprudenza lo ha confermato di fatto) che tale “fascio” di informazioni debba assumere una denominazione (esempio, “Fascicolo delle Informazioni” oppure “Plico Informativo” oppure “Informazioni Precontrattuali“, ecc.) come accade in Francia con il DIP o in USA con il FDD, è alquanto ovvio che, all’atto pratico, trattasi di un documento complessivo appositamente predisposto per assolvere al dettato normativo e per contenere tutte le informazioni previste dalla legge e ciò che non si risolve certo con la consegna di una brochure patinata, uno dei più grossolani errori che possiamo incontrare.

Ma quale caratteristica hanno i Non Disclosure Agreements (ovvero gli accordi di riservatezza)?
Tali scritture devono disciplinare alcuni aspetti fondamentali tra un azienda e un soggetto terzo (sia esso una persona fisica o giuridica), ovvero, ad esempio: quali siano i segreti commerciali, a chi potranno (eventualmente) essere rivelati, con quali modalità, ecc., ecc.. Deve poi emergere anche il chiaro collegamento al rapporto principale cui fanno riferimento le informazioni riservate oggetto di protezione e le concrete esigenze di riservatezza che si vogliono preservare.
Particolare attenzione riveste il termine di durata del vincolo in quanto talvolta può rappresentare l’unica forma di protezione per le informazioni di carattere tecnico che non godano dei requisiti di brevettabilità. Infatti, i segreti commerciali sono diritti che hanno una durata potenzialmente eterna ed è per questo che è sempre opportuno prevedere all’interno che la durata dell’obbligo debba perdurare fino al momento in cui ciascuna singola informazione diverrà nota alla generalità degli operatori del settore. Ovviamente, non possono mancare specifiche e ben chiari clausole penali.

Ma l’esigenza, come detto, si propone anche nei confronti di terzi rispetto al potenziale affiliato e tali “terzi” sono e possono essere molti. Inoltre, trattasi di un argomento che ci porterebbe a dover affrontarne altri diversi e interconnessi tra loro come, esempio, le differenze tra il patto di riservatezza, il patto di segretezza, il patto di non concorrenza e l’obbligo di fedeltà, inclusi quelli verso personale dipendente o verso collaboratori autonomi o altri operatori in azienda, ma anche circa i risvolti penali che conseguono dalla violazioni di norme in materia, ecc., ecc..
Ovviamente il “primo terzo” è il diretto interlocutore del franchisor, il potenziale franchisee. E’ il “primo livello”.
Da questi possiamo passare ad un “secondo terzo” (“secondo livello”) che possiamo identificare, ad esempio e come figura più ricorrente, in uno o più consulenti ai quali il potenziale franchisee chiede assistenza e consulenza per l’ipotetica adesione.
Oltre a tali due livelli, ci sono i “terzi terzi” (“terzo livello”) che possono essere molti altri, inclusa, ad esempio, la parentela del potenziale franchisee coinvolta nella scelta del potenziale investimento, ma non in strutture societarie, ecc..
Come già accennato, il solo responsabile dell’eventuale accordo di segretezza-riservatezza, anche per i livelli successivi, è sempre il potenziale affiliato.
Occorre considerare che, quando le parti dell’accordo sono società, le stesse sono responsabili per le eventuali violazioni commesse anche dai loro dipendenti, ma non lo sono però per le violazioni commesse da consulenti esterni e/o da collaboratori, a meno che questi ultimi non siano vincolati essi stessi dall’accordo. Pertanto, occorre prestare attenzione, quindi, in fase di redazione del testo, a specificare quali soggetti sono vincolati dall’obbligazione di segretezza, oltre alla parte ricevente.

Non potendo affrontare con compiutezza e completezza tutti i livelli, tutti gli argomenti e tutte le casistiche possibili, mi preme evidenziare la particolare importanza, l’opportunità e l’utilità che giunge, sia per il franchisor, sia per il potenziale franchisee, nel rivolgersi e chiedere consulenza ed assistenza a professionisti iscritti in Albi Professionali.
Nello specifico, il suggerimento è indirizzato solamente per le prestazioni professionali di avvocati e commercialisti, se effettivamente specializzati nel settore, ed eventualmente per i consulenti del lavoro, per la specifica specializzazione in materia.
Infatti, rispetto al panorama di soggetti operanti nei vari settori economici (in questo caso, franchising), a tali figure professionali non si applicano solamente le norme ordinarie di tipo civilistico e penale, ma si applicano anche dispositivi deontologici che sono delle vere e proprie norme “interne” a carattere integrativo/aggiuntivo che impongono rigidamente segretezza e riservatezza nello svolgimento della loro professione. Questo comporta che a tali figure professionali non è necessario chiedere espressamente di sottoscrivere di accordi di riservatezza in quanto è praticamente un loro obbligo in origine, circostanza non presente nei confronti di generici consulenti aziendali di varia ed altra natura o nei confronti di generici erogatori di servizi (più o meno) professionali presenti sul mercato.
Sorvolando sull’applicazione dei vari articoli del Codice di Procedura Penale e Civile in merito al segreto professionale, la mancata attuazione dei doveri deontologici per tali professionisti, riguardanti la condotta che devono rispettare nell’attività professionale, comporta automaticamente (anche pesanti) sanzioni giuridiche che possono giungere anche alla potenziale interruzione (temporanea o permanente) della professione.
Attenzione, non si tratta di “non utilizzare” informazioni e conoscenze tecnico-giuridiche-economiche (di carattere intellettuale), che sono in dote agli stessi professionisti per l’erogazione della loro attività consulenziale (esempio, consulenza contrattuale, consulenza e strategia aziendale, ecc.), e che sono il fondamento dell’esercizio della stessa professione, ma si tratta di “non trasferire” informazioni strategiche, commerciali, aziendali, ecc. di propri clienti o di terzi soggetti che possono essere utili ad altre attività in concorrenza con l’originario titolare di tali informazioni (che, tra l’altro, potrebbe anche non essere il vero e reale “originario titolare”).

Giusto per dare completezza all’argomento e fornire conoscenza di contenuti, riporto i testi:
Codice Deontologico Avvocati – Articolo 13 (Dovere di segretezza e riservatezza):
L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali”.
Codice Deontologico Commercialisti – Articolo 10 (Riservatezza):
1. Il professionista, fermi restando gli obblighi del segreto professionale e di tutela dei dati personali, previsti dalla legislazione vigente, deve mantenere l’assoluto riserbo e la riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della professione e non deve diffondere tali informazioni ad alcuno, salvo che egli abbia il diritto o il dovere di comunicarle in conformità alla legge.
2. Le informazioni acquisite nell’esercizio della professione non possono essere utilizzate per ottenere alcun vantaggio personale del professionista o di terzi.
3. Il professionista vigilerà affinché il dovere di riservatezza sia rispettato anche dai suoi tirocinanti, dipendenti e collaboratori”.

Da non dimenticare, infine, che gli Ordini Professionali sono organismi riconosciuti dalla Costituzione con il preciso compito di tutelare i cittadini (interesse pubblico) riguardo a prestazioni professionali che, essendo di tipo intellettuale, non sono sempre valutabili secondo standard normativi rigorosi e, per questo, tali organismi hanno il compito di garantire la qualità delle prestazioni erogate dagli iscritti e l’osservanza della deontologia a loro carico. Trattasi, inoltre, di organismi alla cui iscrizione possono accedere tutti (se vogliono), previo percorso formativo specifico e previo specifico esame finale; un percorso ritenuto certamente “troppo impegnativo” per chi preferisce “scorciatoie” e che privilegia l’occupazione di tali spazi consulenziali su materie alquanto complesse e che possono avere riflessi non indifferenti per gli imprenditori.
Questa ultima affermazione non vuole significare e rappresentare la presenza di una “perfezione” professionale da parte di tali organismi o dei professionisti appartenenti agli stessi, ma è spunto per almeno una delle due domande che seguono:

  1. meglio affidarsi a professionisti iscritti in Albi Professionali (specializzati) sottoposti automaticamente a più obblighi rispetto ad altri per i quali non sono vigenti obblighi in materia di segreto professionale e norme deontologiche?
  2. cosa è meglio, più tutelante, più previdente, applicare un accordo di riservatezza o non dotarsi di tale strumento?

Il lettore può certamente dedurre e supporre che il sottoscritto sia parte direttamente interessata in quanto iscritto in Albo Professionale e operante nel settore della consulenza al franchising da oltre 25 anni, ma ritengo che queste domande, insieme a tante altre, un imprenditore è sempre bene che se le ponga in ogni momento e questo indipendentemente da quanto necessario e/o opportuno in tema di franchising e indipendentemente dal fatto che il suggerimento a porsi tali domande venga da un iscritto in Albo Professionale. Casomai, aggiunga un’altra domanda e si ponga un altro quesito: “come mai i non iscritti in Albi Professionali suggeriscono di non porsi tali dubbi?”.
Magari un avvocato potrebbe dare la risposta idonea e potrebbe non essere così piacevole.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.