Contratto di “partenariato commerciale” e contratto di “partnership” (anche “commerciale”) non sono la stessa cosa

Pubblicato: 10 dicembre 2022 in Franchising e sistemi a rete

– § – CONTRATTO DI “PARTENARIATO COMMERCIALE” E CONTRATTO DI “PARTNERSHIP” (ANCHE “COMMERCIALE”) NON SONO LA STESSA COSA – § –

Continua e si propaga ancora l’incredibile confusione terminologica per la definizione di due forme contrattuali completamente diverse tra loro

Non farò un lungo intervento in merito a quanto riportato nel titolo, mi limito solamente a esprimere, ancora una volta, come accade in altre situazioni e tipologie contrattuali, immense perplessità di come sia possibile che importanti professionisti del settore giuridico-aziendale continuino a voler usare terminologie errate per citare il contratto di “partenariato commerciale” adottando anche una terminologia anglosassone che ha, oltretutto, significati diversi e più ampi.

Come il franchising anche per questo contratto occorre accettare la non possibile traduzione letterale.
Infatti, già il termine “franchising”, che prende spunto dalla terminologia anglosassone, non è perfettamente corretto, in quanto, in realtà, sarebbe “franchise” (più precisamente, “la franchise” o “una franchise”, con pronuncia in inglese o in francese), e poi, non di meno, tale termine non trova e non ha trovato neanche una specifica traduzione in italiano avendolo dovuto adattare alla impropria definizione di “affiliazione commerciale”, dato che “franchigia” (traduzione letterale per il termine reale) e “frachigiasizzante” o “franchigizzando” (traduzione letterale del gerundio in inglese) non suonavano benissimo.

Ecco, anche per la “partnership”, che in realtà potremmo sintetizzarla in mera “collaborazione”, cerchiamo di non confonderla e non usarla per altri contesti scegliendola (sempre ispirandosi alla terminologia anglosassone) per forme di collaborazione prettamente commerciali con specifiche e singole caratteristiche, ma non certo per il “partenariato commerciale” che prende spunto dalla terminologia francese proprio per essere un contratto tra i più utilizzati per la creazione e la gestione di reti commerciali in alternativa al contratto di affiliazione commerciale.

In tutto ciò, inoltre, dovrebbe essere ben chiaro, e questo lo diamo per scontati, quanto siano distanti quei rapporti di partenariato che si instaurano tra privati e Pubblica Amministrazione, regolati da norme specifiche.

Ecco…perchè se i professionisti seri lasciano passare questa modalità (e ne troviamo di “titolati” e “blasonati” che lo fanno) questa terminologia, questo comunicare, questo pubblicare articoli, testi su blog, descrizioni su siti, ecc., troviamo in giro immense castronerie come queste (ne prendo tre tra le tante) che, nel voler descrivere la differenza con il franchising riferendosi, quindi, proprio ad un contratto di “partnership” 😦 riporta che “tra i due partner vi è una totale indipendenza che esclude ogni idea di controllo reciproco“, poi “l’affiliato non dovrà gestire la sua azienda uniformandosi alle regole dettate dal brand promotore dell’insegna” e, l’apoteosi, “inoltre, non avrà l’obbligo di sottostare alla formazione da parte del promotore del logo“.
Ecco, oltre ad ad aver divulgato una castroneria, viene usato anche il termine “affiliato“, oltretutto, e poi su “il promotore del logo” mi taccio, dato che si aggiunge che “la durata del contratto è molto più breve, in genere annuale e non prevede il pagamento di canoni periodici o quote di ingresso (royalty)“…e con questo immenso livello di credulità che c’è in giro e dove le c.d. “bufale” hanno scalato le più impegnative classifiche di best seller nel mondo, la gente ci crede…e quando qualcuno arriva a dover mettere ordine nelle menti e nelle carte, così come nei progetti aziendali e nei contratti di aziende, di persone, di strutture, fornendo assistenza e consulenza seria, vera, tecnicamente basata solo su norme, prassi e giurisprudenza fa fatica, fa molta fatica, fa troppa fatica e non c’è idea degli epiteti che passano per la testa.

Quando le cose non si sanno, non si divulgano (intanto) e, soprattutto, non si erogano prestazioni professionali su argomenti ignoti.
Per gli iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili è un obbligo deontologico, per altre professioni albiste, che ognuno si informi della propria (qualcosa troverà di sicuro), per chi non svolge una professione prevista da albi dovrebbe prevalere l’etica, per tutti dovrebbe esser vigente solo l’onestà, intellettuale, in primis, e economica, nel senso che non si dovrebbero incassare compensi per erogare e divulgare castronerie, come processo conseguente.

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