– § – #FRANCHISING & #MAFIA (SETTIMA PARTE) – EUROSPIN SICILIA IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA: INFILTRAZIONI DELLA ‘NDRANGHETA – § –

Il provvedimento riguarda la società con sede a Catania e dalle indagini emergono infiltrazioni nelle attività di espansione commerciale del marchio

Il settimo intervento sul tema “Franchising & Mafia” è frutto dalla notizia pubblicata in questi giorni e che ha come protagonista il noto marchio Eurospin presente con oltre 100 punti vendita in Calabria e Sicilia, con un fatturato annuo di circa 900 milioni di euro e 2500 dipendenti.

E’ solo l’ultimo (ma sicuramente non sarà l’ultimo) degli interventi che ho iniziato a fare dall’ormai lontano 2015 e che sono il frutto di una (non gradevole) fotografia di una situazione assolutamente pubblica e anche nota, ma silente e della quale nessuno nel settore vuole parlare, come un rifiuto ad accettare la realtà.

Prima di entrare nella notizia e commentare la stessa, potete approfondire i precedenti interventi ai seguenti link:

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– § – FRANCHISING: L’ESCLUSIVA DI ZONA DEVE ESSERE EFFETTIVA – § –

Il patto di esclusiva di zona non si può eludere con schermi e schemi societari

Tra i tanti casi di “stranezze contrattuali” che si possono rilevare da una vera, effettiva ed approfondita consulenza contrattuale (che richiede conoscenza e preparazione specialistica), alcuni sono dei veri e propri tentativi di tecniche alquanto raffinate che meritano molta attenzione e che, allo stato dei fatti e in conclusione, si basano sul “farla franca” (tecnica del “giocatore di poker”) e sul “finchè le cose vanno bene vuol dire che è tutto fatto bene” (tecnica del “fatalista”), ma, soprattutto, producono solo una duplice illusione a temporaneo ed esclusivo beneficio di professionisti incaricati allo studio e alla elaborazione dei testi per tali tipi di contratti che, al termine di tale attività, emettono notule alquanto salate:

  1. la prima illusione è nei confronti dei franchisor (affilianti) che pensano di aver ottenuto l’uso legittimo di furberie e, così, aver speso bene i loro soldi nella consulenza contrattuale affidata che produrrà l’albero dei soldi d’oro;
  2. la seconda illusione è nei confronti dei franchisee (affiliati) che pensano di aver ottenuto una importante esclusiva (zona) e aver speso bene i loro soldi nell’adesione ad una rete che “li protegge”.

In pratica siamo innanzi ad una comunità di “illusionisti” e di “illusio-nati”.

Dopo quanto già riportato nel datato intervento “Il #franchisor non deve giocare a zona la partita del #franchising” (2017) di seguito un altro interessante contributo sul tema che ci giunge sempre dal Tribunale di Milano e risalente al 2019 (anch’esso ormai datato).

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– § – BENETTON: SI IMPEGNA ALLA RIMOZONE DEGLI “ABUSI” SEGNALATI DA AGCM – § –

Dall’avvio delle indagini istruttoria di AGCM per “abuso di dipendenza economica”, il noto marchio propone la rimozione con i suoi “impegni”. Dopo Original Marines e McDonald’s, anche Benetton promette di rimuovere gli “abusi”

Era il 2020, più esattamente il 17 novembre 2020 con comunicazione alle Società in data 24 novembre 2020, e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato avviava nei confronti delle società Benetton S.r.l. e Benetton Group S.r.l. un’istruttoria ai sensi dell’art.9, c.3-bis, della L.18.06.1998, n.192 e dell’art.14 della L.10.10.1990, n.287, al fine di verificare se Benetton, nell’ambito dei rapporti con i propri rivenditori (con contratti di franchising), aveva abusato della posizione di dipendenza economica in cui i medesimi potrebbero trovarsi, causando altresì un preteso nocumento al corretto dispiegamento della concorrenza nel settore.

Da premettere che “Benetton ritiene di aver sempre agito nel pieno rispetto della disciplina in materia di dipendenza economica, pertanto, contesta integralmente ciascuna delle prospettazioni contenute negli atti del procedimento ed in particolare nel Provvedimento di avvio. Fatta tale premessa, in spirito di piena collaborazione con l’Autorità, con il presente formulario, propone l’adozione di un pacchetto di misure volte a superare le preoccupazioni ad oggi espresse dall’Autorità e/o dagli Uffici nel corso delle interazioni avute. In particolare, tutte le misure proposte sono presentate senza che ciò costituisca acquiescenza o ammissione di responsabilità alcuna rispetto alle ipotesi di violazioni descritte nel Provvedimento di avvio e fatti salvi, in ogni caso, i diritti di difesa della
Società
“.

Nel caso in esame, secondo le informazioni disponibili, l’AGCM ha ritenuto potesse configurarsi uno squilibrio eccessivo nei rapporti tra Benetton e i franchisee, alla luce degli impegni economici e degli oneri che gravavano in capo a quest’ultimi
sulla base del contratto di franchising, tale da rendere difficoltoso, se non impossibile, ricercare sul mercato alternative commerciali soddisfacenti.
Benetton, in sintesi, avrebbe imposto di mantenere una struttura di vendita ed un’organizzazione commerciale disegnata sulle sue esigenze, anche in considerazione del fatto che questa si garantiva contrattualmente la possibilità di fissare unilateralmente regole e parametri organizzativi idonei a irrigidire la struttura aziendale del franchisee, fino a ostacolare, se non impedire, la sua eventuale riconversione.
Il complesso delle clausole contrattuali riportate nei contratti di franchising, insieme a situazioni pregresse di franchisee caratterizzate da forti esposizioni debitorie proprio nei confronti di Benetton, sono state ritenute disincentivanti, sino a rendere impossibile, la ricerca da parte degli affiliati di alternative di mercato determinando, quindi, la dipendenza economica dal franchisor.

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– § – FRANCHISING: LA SPERIMENTAZIONE DELLA FORMULA COMMERCIALE NON SI TOCCA – § –

Importantissima Sentenza ottenuta dallo Studio dell’Avv.Giovanni Adamo presso il Tribunale di Foggia in materia di contratto di franchising e sperimentazione della formula commerciale per la quale si va anche “oltre” allo stringente dettato normativo: (ancora) una gradita conferma di quanto costantemente espresso sul tema

Non posso che iniziare questo intervento con una triplice soddisfazione: (i) la prima giunge dalla conferma di quanto il sottoscritto, in termini di assistenza e consulenza alla costruzione tecnico-giuridica-aziendale di sistemi di franchising, sottolinei costantemente e continuamente l’importanza del duplice obbligo di sperimentazione imposto all’affiliante (qui uno dei tanti interventi sul tema risalente al lontano 2013); (ii) la seconda giunge dalla “vittoria” ottenuta dall’amico Avv.Giovanni Adamo che, ancora una volta, ha centrato uno dei temi più importanti in termini di tutela verso i franchisee e che in troppi, sia imprenditori, sia organismi “istituzionali”, sia consulenti di tali soggetti, trascurano e, occorre dire, nel tempo hanno volutamente trascurato, includendo in ciò l’ostracismo e l’impedimento espresso ed attuato verso una proposta di riforma della legge scritta proprio dal sottoscritto; (iii) la terza giunge dal perfetto allineamento tecnico-professionale che ancora una volta vede accumunati, in qualità di consulenti, il sottoscritto e l’amico Avv.Giovanni Adamo su qualsiasi tema che riguardi il franchising e che non esitiamo a portare alla luce ponendoci anche a e in contrasto con tutti i soggetti, gli organismi, le organizzazioni, ecc. che intenderebbero far passare altre tipologie di messaggi e di informazioni.

Detto questo, vediamo, in sintesi, cosa e come ha deciso il Tribunale di Foggia nella Sentenza iscritta al n.r.g.1239/2015 del 19.12.2022.

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– § – CONTRATTO DI “PARTENARIATO COMMERCIALE” E CONTRATTO DI “PARTNERSHIP” (ANCHE “COMMERCIALE”) NON SONO LA STESSA COSA – § –

Continua e si propaga ancora l’incredibile confusione terminologica per la definizione di due forme contrattuali completamente diverse tra loro

Non farò un lungo intervento in merito a quanto riportato nel titolo, mi limito solamente a esprimere, ancora una volta, come accade in altre situazioni e tipologie contrattuali, immense perplessità di come sia possibile che importanti professionisti del settore giuridico-aziendale continuino a voler usare terminologie errate per citare il contratto di “partenariato commerciale” adottando anche una terminologia anglosassone che ha, oltretutto, significati diversi e più ampi.

Come il franchising anche per questo contratto occorre accettare la non possibile traduzione letterale.
Infatti, già il termine “franchising”, che prende spunto dalla terminologia anglosassone, non è perfettamente corretto, in quanto, in realtà, sarebbe “franchise” (più precisamente, “la franchise” o “una franchise”, con pronuncia in inglese o in francese), e poi, non di meno, tale termine non trova e non ha trovato neanche una specifica traduzione in italiano avendolo dovuto adattare alla impropria definizione di “affiliazione commerciale”, dato che “franchigia” (traduzione letterale per il termine reale) e “frachigiasizzante” o “franchigizzando” (traduzione letterale del gerundio in inglese) non suonavano benissimo.

Ecco, anche per la “partnership”, che in realtà potremmo sintetizzarla in mera “collaborazione”, cerchiamo di non confonderla e non usarla per altri contesti scegliendola (sempre ispirandosi alla terminologia anglosassone) per forme di collaborazione prettamente commerciali con specifiche e singole caratteristiche, ma non certo per il “partenariato commerciale” che prende spunto dalla terminologia francese proprio per essere un contratto tra i più utilizzati per la creazione e la gestione di reti commerciali in alternativa al contratto di affiliazione commerciale.

In tutto ciò, inoltre, dovrebbe essere ben chiaro, e questo lo diamo per scontati, quanto siano distanti quei rapporti di partenariato che si instaurano tra privati e Pubblica Amministrazione, regolati da norme specifiche.

Ecco…perchè se i professionisti seri lasciano passare questa modalità (e ne troviamo di “titolati” e “blasonati” che lo fanno) questa terminologia, questo comunicare, questo pubblicare articoli, testi su blog, descrizioni su siti, ecc., troviamo in giro immense castronerie come queste (ne prendo tre tra le tante) che, nel voler descrivere la differenza con il franchising riferendosi, quindi, proprio ad un contratto di “partnership” 😦 riporta che “tra i due partner vi è una totale indipendenza che esclude ogni idea di controllo reciproco“, poi “l’affiliato non dovrà gestire la sua azienda uniformandosi alle regole dettate dal brand promotore dell’insegna” e, l’apoteosi, “inoltre, non avrà l’obbligo di sottostare alla formazione da parte del promotore del logo“.
Ecco, oltre ad ad aver divulgato una castroneria, viene usato anche il termine “affiliato“, oltretutto, e poi su “il promotore del logo” mi taccio, dato che si aggiunge che “la durata del contratto è molto più breve, in genere annuale e non prevede il pagamento di canoni periodici o quote di ingresso (royalty)“…e con questo immenso livello di credulità che c’è in giro e dove le c.d. “bufale” hanno scalato le più impegnative classifiche di best seller nel mondo, la gente ci crede…e quando qualcuno arriva a dover mettere ordine nelle menti e nelle carte, così come nei progetti aziendali e nei contratti di aziende, di persone, di strutture, fornendo assistenza e consulenza seria, vera, tecnicamente basata solo su norme, prassi e giurisprudenza fa fatica, fa molta fatica, fa troppa fatica e non c’è idea degli epiteti che passano per la testa.

Quando le cose non si sanno, non si divulgano (intanto) e, soprattutto, non si erogano prestazioni professionali su argomenti ignoti.
Per gli iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili è un obbligo deontologico, per altre professioni albiste, che ognuno si informi della propria (qualcosa troverà di sicuro), per chi non svolge una professione prevista da albi dovrebbe prevalere l’etica, per tutti dovrebbe esser vigente solo l’onestà, intellettuale, in primis, e economica, nel senso che non si dovrebbero incassare compensi per erogare e divulgare castronerie, come processo conseguente.