Cultura del franchising: l’informazione legale è la spia (gli USA insegnano)

Pubblicato: 5 agosto 2021 in Franchising e sistemi a rete
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– § – CULTURA DEL FRANCHISING: L’INFORMAZIONE LEGALE E’ LA SPIA (GLI USA INSEGNANO) – § –

La comprensione (nel più ampio senso) del franchising passa da moltissimi fattori, non solo da quelli prettamente legali e aziendali. E’ una specifica cultura che si estende anche nel sociale e che in alcuni paesi ha raggiunto alti livelli di maturità che dovrebbero essere osservati con maggiore attenzione e, perché no, imitati e non evitati come accade (ovviamente) in Italia

E’ ben noto che gli USA siano il paese del franchising, una nazione nella quale il franchising costituisce una attività fortemente consolidata, largamente diffusa e ufficialmente accettata forma di investimento. Per comprenderne la portata, alcuni dati del 2017:

  • 745,290 franchising attivi in America nel 2017 di cui oltre 150000 franchising nell’ambito della ristorazione, il settore più diffuso di franchising negli Stati Uniti
  • il 10% dei nuovi posti di lavoro creati nel corso del 2017 negli Stati Uniti sono dovuti ad attività di franchising
  • il 4.5% del PIL americano è legato ad attività operanti in franchising
  • oltre il 55% dei franchising in attività negli Stati Uniti appartengono a società con più di un punto vendita
  • alcuni settori di attività negli USA sono letteralmente dominati dai franchising. Tra questi: negozi di ottica, punti di spedizione per corriere, piccoli magazzini ad uso personale, centri per la dieta ed il dimagrimento.

Fa impressione pensare che il 4,5% del PIL USA sia legato ad attività in franchising, vero? Eppure, come ho riportato nell’intervento “Pillola di (in)cultura sul franchising” ci sono ancora un numero impressionante di manager, imprenditori e professionisti che non hanno proprio idea di cosa sia il franchising e di quali opportunità offra. Il motivo è semplice, ma meglio non scriverlo per non ingenerare suscettibilità.
In ogni caso, questo dato ci fa comprendere del perché tale settore sia ormai parte della cultura economica di quel paese e ci fa comprendere anche le straordinarie potenzialità per le imprese da parte di questo strumento adottato con grande successo in uno dei mercati più concorrenziali al mondo.

Fatta questa premessa e mettendo da parte l’aspetto squisitamente tecnico, legale ed economico, ci sono alcuni aspetti che la regolamentazione del franchising USA fornisce che definire (con estrema sincerità) straordinari è veramente poco. Vediamone un paio.

Negli Stati Uniti il franchising è regolato sia a livello federale che a livello statale. L’agenzia che vigila sul franchising a livello federale è la Federal Trade Commission e la legge di riferimento è denominata “Disclosure Requirements and Prohibitions Concerning Franchising and Business Opportunities (16 CFR, Part 436, 2007), meglio nota come FTC Franchise Rule. Vi sono, poi, alcuni stati USA che impongono al franchisor una preliminare registrazione presso gli uffici competenti prima di poter iniziare e dar seguito alla propria attività di franchisor (California, Illinois, Indiana, Maryland, Michigan, Minnesota, New York, North Dakota, Rhode Island, South Dakota, Virginia, Washington). Tutte le varie norme, sia statali, che federali, disciplinanti il franchising negli Stati Uniti sono finalizzate alla tutela del franchisee, considerato la parte debole della relazione contrattuale.

La “FTC Franchise Rule” è un documento di 133 pagine formato A4, redatto su tre colonne con carattere Times New Roman 8 e numerose tabelle precostituite per l’inserimento dei dati che costituiscono solo una parte dell’informazione precontrattuale da erogare ai potenziali affiliati. Integra tale documento la “Compliance Guide”, un documento di 154 pagine che ha lo scopo di aiutare:

  • i franchisor a rispettare e rendersi conformi ai dettati normativi della “FTC Franchise Rule”, da quali sono gli effetti e l’ambito applicativo della norma, alle istruzioni per la preparazione e la compilazione del Documento di Informazione Precontrattuale, ecc.
  • i franchisee a conoscere con molto più dettaglio i loro diritti, le notizie e i dati da ottenere, ma anche i soggetti referenti del franchisor responsabili dell’operatività che si snoda nel corso delle trattative e delle informazioni precontrattuali.

Un capitolo molto interessante è quello nel quale si fa chiarezza e si elenca ciò che debba e non debba essere inteso come attività di controllo e assistenza che il franchisor può, per legge, esercitare sui franchisee e l’elenco è proprio ben distinto tra ciò che è “controllo” e ciò che è “assistenza”, ma anche ciò che non rientra in controllo e assistenza.
Può sembrare una banalità, ma mi sono personalmente imbattuto in moltissimi casi nei quali ove contrattualmente previsto il controllo della contabilità degli affiliati (elemento previsto in tutti i paesi del mondo) la risposta di potenziali affiliati e di accondiscendenti (e impreparati) professionisti è stata quella che “la contabilità è disponibile solo agli organi di controllo ufficiali”, dimostrando di non sapere neanche l’ABC del franchising e certificando che un tale affiliato non può mai rientrare in un affiliato tipo (seppur in Italia l’obiettivo di molti franchisor sia solo “firmare i contratti”).

Un altro capitolo particolarmente importante della “Compliance Guide” è quello che illustra la parte della normativa ove si prevede chi debba predisporre le informative precontrattuali, chi debba fornirle ai potenziali affiliati e in che modo i potenziali affiliati possano ricevere le informazioni. Una illustrazione invidiabile seguita anche da una dettagliata articolazione su “come” debbano essere consegnati i documenti e le informazioni precontrattuali (in Italia sono state necessarie delle sentenze di Tribunale).
Nello specifico la descrizione inizia con fornire spiegazioni su chi sia il responsabile della preparazione dei documenti informativi. Ovvio che la risposta sia facile, è “il franchisor”, ma la risposta da questa parte dell’oceano si può limitare proprio a questo in quanto nella nostra realtà non è massicciamente presente tutto quell’indotto e quel “dinamismo” economico che offre il franchising USA.
Infatti, seppur la risposta sia ovvia, la suddetta guida precisa con maggior dettaglio che i medesimi obblighi ricadono anche sul subfranchisor, ma che alcuni dati ed alcune informazioni potrebbero non essere le stesse rispetto a quelle del franchisor principale. Soprattutto, ed è questa la parte interessante, chiarisce che gli intermediari, i brokers, i venditori o i “prevenditori” di franchising (figure rarissime in Italia) non sono né responsabili della preparazione, né autorizzati alla divulgazione sic et simpliciter. Infatti, si chiarisce, che non vi è alcun obbligo di divulgazione da parte del franchisor di informazioni a “giornalisti, accademici o coloro che navigano online che si sono imbattuti nel sito web di un franchisor. Una persona deve avere un certo interesse in buona fede a diventare un franchisee, non una semplice curiosità”, ma, chiarisce ancora, con il termine “potenziale affiliato” si debba comunque intendere una “qualsiasi persona (incluso qualsiasi agente, rappresentante o dipendente) che si avvicina o viene avvicinato da un venditore in franchising per discutere l’eventuale instaurazione di un rapporto di franchising”, quindi, “al contempo, i franchisor possono ottemperare all’obbligo di fornire documenti di divulgazione a potenziali franchisee attraverso un agente o un rappresentante di un potenziale franchisee, come un avvocato” e, “nel caso di una interessa da parte di una società, l’informativa può essere fornita a un funzionario della stessa società”.

E’ fuori dubbio che la lettura di tali documenti, delle norme di altri paesi, ecc. consenta di avere una visione consulenziale nettamente più ampia di quella minimale e ritenuta sufficiente in Italia e, inoltre, consenta di poter effettuare anche una effettiva attività preventiva e tutelante rispetto agli obblighi di legge potendo operare con più sicurezza, sempre se l’interesse del franchisor sia quello della trasparenza e della reale buona fede.
Ovvio, infatti, che tutto questo non possa essere messo in pratica in assenza di idonei imprenditori che abbiano effettivamente acquisito la reale cultura del franchising, escludendo, quindi, quelli che intendono adottare tale strumento come una risoluzione a problematiche aziendali o anche a scopi non proprio “moralmente corretti”. Ecco che, pertanto:

  • non sarà possibile considerarlo un caso se i paesi che adottano normative nelle quali prevale la trasparenza, l’informazione dettagliata, articolata, precisa, insieme ad una prassi contrattuale con contenuti corposi e dettagliati siano proprio i paesi a maggior diffusione e apprezzamento imprenditoriale e culturale dello strumento franchising come modalità di sviluppo e crescita aziendale anche con espansione all’estero di multinazionali, di veri e propri imprese giganti;
  • non sarà un caso se “la consolidata e permanente assenza di professionalità specifiche e specialistiche coincida con il non ritenere necessario avere e usufruire di professionalità specifiche” quando si tratta di affrontare il settore (sia dalla parte dei franchisor, sia dei franchisee);
  • di conseguenza, non sarà un caso se professionalità “certificate” per l’assistenza e la consulenza alle imprese ritengano di avere di default e in natura tutte le conoscenze per poter assistere aziende che intendano affrontare il settore per l’ampliamento della loro attività (per poi con un mero confronto basilare, emergono lacune devastanti).

E’ l’assenza di cultura che genera, ovviamente, presenza di molta ignoranza e ignorare di avere necessità di conoscenze specifiche (anche perché in assenza di norme dettagliate e indirizzate alla trasparenza e alla tutela) è uno dei più grossi ostacoli alla cultura d’impresa in generale.

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