Concludo questo percorso iniziato l’intervento “Il partenariato: un “leale sfidante” per il franchising o uno stimolo per migliorarlo ?” e proseguito fino all’ultimo intervento pubblicato “Franchising e insufficiente Know how: arrivano i Tribunali ?“.
Cuore_salvagenteDopo aver cercato di dimostrare la delicatezza del più importante elemento del franchising, la pericolosità a non maneggiarlo con cura, la possibilità di forme alternative al franchising proprio per evitare rischi di tal natura, l’importanza di una gestione della rete in forma e con sistemi orizzontali e non verticali, ecc., con questo intervento cercherò di dimostrare (a coloro che avranno la pazienza di leggere fino al termine, data la lunghezza) che proteggere il know how non è attività facile. Il mio auspicio è che ciò che risulta palesemente essere un mio appello ad evitare un uso, diciamo, “disinvolto” del know how, possa essere accolto e valutato seriamente, intendendo con ciò azioni concrete volte alla revisione della propria rete.
Quando si parla di know how e quando se ne intende esaltare l’importanza in un sistema di franchising, l’esempio utilizzato a tal scopo è: “il know how è il cuore di un sistema di franchising”. Ed è vero, il know how (lo abbiamo visto) è condizione essenziale per l’esistenza stessa di un sistema di franchising ed è considerato il più importante elemento tra quelli che costituiscono l’insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale elencati all’art.1 della Legge 129/2004.

Copyright
Sappiamo tutti che il know how, oltre a dover essere presente in un sistema di franchising, deve essere anche trasferito dal franchisor al franchisee proprio perché la normativa nazionale lo considera un elemento che comprende “conoscenze indispensabili” per lo stesso affiliato.
Semplifico il concetto:

  • da un lato, il franchisor, deve preoccuparsi “solamente” di adempiere a tali due attività (presenza e trasferimento);
  • dall’altro, questa tipologia di semplificazione che spesso è presente nei vari dibattiti sull’argomento, costituisce, principalmente e in termini di tutela, il punto di vista dell’affiliato. Egli, pertanto, nel corso della sua analisi di adesione, deve ben comprendere se una determinata rete è dotata di know how e, in tal caso, deve ben accertarsi come sarà a lui trasferito.

Al fine di completare il concetto, posso dire che, dal punto di vista dell’affiliante, l’argomento “know how” è alquanto più complesso rispetto alle due attività sopra richiamate (presenza e trasferimento).
Nei vari interventi presenti nel blog ho frequentemente cercato di far porre attenzione alla materia ed ho cercato di fornire molteplici analisi sull’argomento, dalla creazione, alla sperimentazione, dalla codifica, alla “fragilità”, ecc..
Un aspetto molto particolare e che interessa molte reti di franchising, è la tutela del proprio know how.

Non tutti sanno, o meglio “non realizzano”, che quando si parla di tutela di knowquestion mark how, non è possibile individuare solamente un’azione, una sola attività, un solo processo, una sola soluzione. Per proteggere efficacemente il know how gli interventi devono essere molteplici e, non raramente, non ricercabili direttamente in una qualsiasi norma e neanche nella specifica norma sul franchising (L.129/2004).

Facendo un esempio per una maggiore comprensione di tale concetto, una parte del know how (seppur piccola) potrebbe anche essere tutelata (situazione non rara all’estero) affiggendo nei locali della rete un avviso con il quale si vietano riprese video o foto. Si tratterebbe di una piccolo accorgimento non espressamente previsto da alcuna norma, inclusa quella specificatamente dedicata al franchising, la L.129/2004, la quale, sull’argomento know how così interviene:

  • art.1, comma 3, lett.a), che riporta la definizione di know how e, oltre a descrivere che cosa si debba intendere con tale termine, specifica la sua utilità e ne richiede una descrizione;
  • art.3, comma 4, lett.d), che impone una espressa descrizione sul contratto di franchising delle caratteristiche del know how;
  • art.3, comma 4, lett.e), che impone una espressa indicazione di eventuali riconoscimenti apportati al know how da parte dell’affiliato.

In aggiunta a tali specifiche disposizioni sul know how, possiamo considerare dei richiami presenti nella stessa normativa quanto segue:

  • l’obbligo di sperimentazione della formula commerciale (concetto di messa in pratica del know how);
  • l’obbligo di descrizione dei servizi e dell’assistenza che l’affiliante fornisce all’affiliato (parziale concetto di trasferimento del know how);
  • l’obbligo di descrizione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto di affiliazione (concetto che dovrebbe consentire la comprensione della presenza di know how);
  • l’obbligo per l’affiliato di trasferire ai propri dipendenti e collaboratori gli obblighi di segretezza e riservatezza tipici dell’attività oggetto di affiliazione (concetto di estensione della tutela del know how).

E’ facile notare che, ad eccezione dell’ultimo punto, nella Legge n.129/2004, non è individuabile alcun riferimento alla tutela del know how a favore dell’affiliante, nonostante che tale forma di tutela debba essere attivata sin dai primi contatti con un potenziale affiliato.
Un importante riferimento sull’argomento, possiamo individuarlo nel non più vigente Regolamento CEE n.4087/88, che rimane ancora un validissimo riferimento operativo. Tale Regolamento riportava:

  • l’obbligo per l’affiliato di “non comunicare a terzi il know-how conferito dall’affiliante; l’affiliato può essere tenuto a tale obbligo dopo la scadenza dell’accordo”;
  • l’obbligo per l’affiliato di “comunicare all’affiliante l’esperienza ottenuta sfruttando il franchising e concedere a lui e ad altri affilianti una licenza non esclusiva per il know-how da essa risultante”;
  • l’obbligo per l’affiliato di “non utilizzare il know-how concesso in licenza dall’affiliante a fini diversi dallo sfruttamento del franchising; l’affiliato può essere tenuto a tale obbligo dopo la scadenza dell’accordo”;
  • una sostanziale concessione di utilizzo del know how da parte dell’affiliante “dopo la scadenza del contratto quando detto know-how sia diventato generalmente noto o di facile accesso per ragioni diverse dalla non osservanza degli obblighi da parte dell’affiliato”.

Sulla base di quanto sopra, non è difficile rilevare come la tutela del know how da parte del franchisor, salvo pochissime eccezioni, sia sostanzialmente lasciata proprio alle singole iniziative dello stesso affiliante il quale, da non dimenticare, deve anche garantire a tutti i propri affiliati il mantenimento del requisito di segretezza richiesto dalla L.129/2004 (“(…) il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto nè facilmente accessibile”).
Questa parziale analisi dell’argomento riesce a far comprendere il perché molte reti sono costantemente in cerca di riferimenti, giuridici e operativi, che riescano a fornire caratteristiche se non di certezza contrattuale, comunque di maggiore sicurezza.
Ha certamente questa caratteristica una importante ordinanza del Tribunale di Torino (2008) chiamato, da un franchisor, ad esprimersi su una richiesta di inibizione, verso un ex affiliato. Nello specifico, tale ex affiliato, dopo la conclusione del rapporto con l’affiliante (scioglimento a scadenza naturale), aveva provveduto (secondo il franchisor) a costruire una nuova rete identificata da altro marchio ed aveva avviato anche la gestione di punti vendita aventi il medesimo oggetto di attività del precedente franchisor. Per questi motivi, il franchisor, chiedeva che fosse inibito lo svolgimento di una attività direttamente e/o indirettamente concorrenziale con la sua e che fosse inibito l’utilizzo delle informazioni aziendali riservate e trasferite nel corso del rapporto sciolto.
Senza entrare nei dettagli delle reciproche osservazioni espresse dalle parti in termini di accusa e di difesa, ciò che maggiormente interessa a questo intervento sono le motivazioni espresse nella suddetta ordinanza e, in particolare, ciò che riguarda l’uso delle informazioni riservate.
Come riportato nel provvedimento, le parti avevano regolato contrattualmente questo argomento (dal titolo “Obbligo di riservatezza”) ed avevano anche dato una definizione delle “informazioni riservate” che l’affiliante avrebbe trasferito nel corso del rapporto con l’obbligo, per l’affiliato, di non sfruttare tali informazioni se non nel corso dei rapporti contrattuali e con obbligo di astenersi alla loro divulgazione a terzi anche dopo la cessazione dei rapporti con obbligo di restituzione di tutta la documentazione e di uno specifico software contenenti tali informazioni. Secondo il franchisor tutte queste informazioni sarebbero state duplicate ed utilizzate per la costruzione e la gestione della nuova rete alla quale l’ex affiliato, non solo stava partecipando come aderente, ma era anche compartecipe della costruzione della stessa rete.
KnowHow_KeyAllo stato degli atti e sulla base della valutazione adottata dal collegio giudicante, questi assunti manifestati dal franchisor non trovavano adeguato riscontro e, illustrando il proprio provvedimento, il Tribunale esprime un concetto che non oso a definire rivoluzionario per il settore del franchising.
Infatti, il Tribunale ha sostenuto che “le informazioni riservate tutelabili quale oggetto di privativa industriale sono tali se hanno oggettivamente le caratteristiche di cui all’art.98 del Codice di Proprietà Industriale a prescindere dalla definizione data dalle parti circa la natura delle informazioni e del materiale che è normale vengano scambiati nei rapporti commerciali e in particolare in quello di franchising che si caratterizza proprio per la messa a disposizione, dietro compenso, da parte dell’affiliante all’affiliato di un’organizzazione aziendale già strutturata e caratterizzata da un marchio già noto e perciò appetibile per l’affiliato”. Accertato che l’ex affiliato aveva ricevuto informazioni e documenti dall’affiliante, è onere di quest’ultimo “(…) indicare quali tra esse avevano le caratteristiche di cui all’art.98, C.P.I., e quali, in seguito, siano state in concreto utilizzate” dall’ex affiliato “per la creazione della nuova rete concorrente”. Considerato che il franchisor non è stato in grado di fornire alcun elemento di prova “non sussiste un valido fumus boni juris in ordine all’avvenuto dal franchisor all’ex franchisee di informazioni aventi le caratteristiche dell’art.98 del C.P.I., né del loro utilizzo” dell’ex franchisee “al fine di compiere atti di concorrenza sleale” a danno del franchisor.
Quindi, sintetizzando con una massima: qualora ci sia stata una violazione da parte del franchisee dell’obbligo contrattuale con il quale, una volta cessato il rapporto, non è stata concessa l’utilizzazione delle informazioni aziendali riservate la cui trasmissione è avvenuta da parte dell’affiliante, ma l’oggetto di detto vincolo non risulti caratterizzato dagli elementi indicati nell’art. 98 del Codice di proprietà industriale, in sede cautelare non vi può essere concessione di tutela inibitoria.
Completo il tutto analizzando il contenuto dell’art.98 del C.P.I. (ciò che interessa è il primo comma), il quale, inserito nella Sezione VII (Informazioni segrete) del Decreto legislativo 10.02.2005 n.30, ha come titolo “Oggetto della tutela”:
1. Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Se è pur vero che l’ordinanza richiama, nella sostanza, il contenuto della lettera a), tale richiamo traspone particolare importanza su quanto previsto dalla lettera c).
E’ proprio tale disposizione l’elemento più importante per la protezione del know how. In precedenza, ho fatto cenno al fatto che molte reti di franchising sono costantemente in cerca di riferimenti, giuridici e operativi, che riescano a fornire caratteristiche se non di certezza contrattuale, comunque di maggiore sicurezza, ma non raramente non si effettua una idonea riflessione sul fatto che tali reti non devono solo “cercare” indicazioni operative per la tutela del proprio know how, ma le devono anche e soprattutto “costruire” sulla base delle caratteristiche dello stesso know how e degli obiettivi aziendali predisposti a tal scopo.

L’importanza di una strategia di protezione, che è il richiamo sostanziale dell’ordinanza del Tribunale di Torino, è proprio ribadita nella citata lett.c) dell’art.98 C.P.I. che, senza individuare nello specifico le singole misure, ne configura un onere di adozione da parte dei soggetti al cui legittimo controllo le informazioni sono soggette.
In questa nozione non rientra soltanto il titolare dell’impresa, ma anche tutti i soggetti i quali, in quanto appartenenti alla stessa compagine aziendale, possono ritenersi vincolati dall’obbligo di fedeltà di cui all’art.2105 del C.C., ma rientrano anche coloro che ricevono le informazioni dal primo e sono autorizzati a comunicarle a terzi per finalità aziendali.
E pertanto ovvio che le misure da predisporre devono essere dirette sia verso l’interno (il caso più classico è il personale aziendale, richiamato anche dalla L.129/2004), che verso l’esterno (clienti, fornitori, terzi in generale), ma il richiamo espresso al criterio di “ragionevole adeguatezza” consente di graduare e di valutare in concreto la scelta degli strumenti in funzione delle condizioni di detenzione e delle modalità di utilizzo delle informazioni, dei soggetti che possono accedervi ma anche, cosa spesso sottovalutata, del progresso tecnologico.
E’, in sostanza una apertura manifestata e voluta dal legislatore che comporta una inclusione nel mix di misure di natura legale (clausole, contratti, accordi di non divulgazione, ecc..) accanto a quelle di natura organizzativa (procedure, policies aziendali, separation of duties, formazione, aggiornamenti, modifiche periodiche dei sistemi di sicurezza adottati, ecc.) e tecnologica (strumenti di protezione fisica e logica dei sistemi informativi ed elettronici, di aree interne ed esterne, limiti di accessi, ecc.).

Pertanto, è da questo mix di tre misure che passa una buona ed efficace tutela del know how tanto ricercata (ma spesso non attivata) da molte reti di franchising, sperando che, nel frattempo, altre dedichino la loro ricerca a capire se effettivamente hanno un know how da proteggere, ma soprattutto, cessino di cercare di “vendere” un know how che non hanno.

commenti
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