A pochi giorni dall’intervento “Franchising: un tour tra scarse informazioni, furti di format e format incompiuti“, al quale è seguito subito dopo la testimonianza con “La soddisfazione dei ringraziamenti: anche questo è un contributo per il franchising” (in genere trascorre più tempo tra una pubblicazione e l’altra: in 4 giorni tre interventi è un record), porto all’attenzione un argomento che sta veramente prendendo una non bella e neanche piacevole “piega” e che, in abbinamento all’analisi effettuata proprio nel penultimo intervento, mi ha portato a “buttar giù” questo elaborato.
Con questo intervento, riprendo l’argomento della sperimentazione nel franchising, già trattato negli interventi “Sogno di mezza impresa” e ““Presto e bene non stanno insieme”, neanche nel franchising“, ambedue del febbraio 2013.
Lo riprendo riportando proprio l’introduzione del primo dei due interventi nel corso del quale specificavo come la sperimentazione del franchising, prima della sua effettiva applicazione, fosse da un lato necessaria, dall’altro obbligatoria.
Da una parte, “la necessità” deriva dall’avere una ragionevole certezza di carattere imprenditoriale (spesso sottovalutata) da parte del potenziale ’affiliante-imprenditore della “bontà” della formula d’impresa che va ad applicare per sé stesso, ma anche e soprattutto per terzi soggetti, cioè, gli affiliati-imprenditori.
Dall’altra “l’obbligatorietà” giunge dal contenuto normativo della Legge n.129/2004 (“Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”).

Copyright
Ricordo ancora (dato che questa distinzione e questa precisazione non sono messe molto in rilievo dalla dottrina, dai commentatori, dagli esperti, ecc.) che i richiami all’obbligatorietà sono essenzialmente due e quello che non è ancora chiaro a molti (anzi, a quei pochi che prendono in considerazione questo aspetto) è che la norma in questione non prevede “una sperimentazione” con “due richiami”, ma ne prevede appunto “due”, esattamente quanti sono gli stessi richiami normativi.
Infatti:

  1. il primo riferimento, è contenuto nell’art.1 (definizioni), comma 3, lett.a), nel quale si specifica che, nel contratto di franchising, si intende “per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante (…)”. Quindi, appare palese che si tratta di una sperimentazione specifica nel corso della quale si mette alla prova il know-how, cioè, le conoscenze che si intende trasferire a terzi attraverso la formula del franchising;
  2. il secondo riferimento, è contenuto nell’art.3 (forma e contenuto del contratto), comma 2, nel quale si specifica che “per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale”.

Sono due sperimentazioni diverse, ma su questo rinvio all’intervento “Sogno di mezza impresa”.
Successivamente a tali sperimentazioni, la normativa prevede un ulteriore passaggio dato dall’obbligo di inserire l’affiliato in franchising “in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio” (art. 1, comma 1, L. n. 129/2004);

Ho deciso di riprendere l’argomento perché troppo spesso sento e mi si riferisce di vere e proprie assurdità che trovano terreno fertile in una “non presenza” (non voglio parlare di “lacuna” per non essere professionalmente arrogante) di importanti indicazioni nella norma che regola il franchising: come, quando e quanto sperimentare.
In pratica la norma parla di obblighi di sperimentazioni, ma non fornisce idonee istruzioni al riguardo. Questo ha comportato e comporta la presenza di una serie di opinioni che in alcuni casi si trasformano in vere e proprie eresie che rendono nullo un pensiero di Ernesto Ferrero (scrittore) quando dicevaOgni attività artigianale e professionale ha il suo duro apprendistato, le sue regole, anni di lavoro, lacrime e sangue.

L’assenza di indicazioni in termini temporali e quantitativi della sperimentazione obbligatoria, dovrebbero:

  • comportare incertezze;
  • creare dubbi e perplessità;
  • ostacolare la superficiale creazione di una rete in franchising;
  • comportare difficoltà e disagio tra gli operatori.

Mi dispiace deludere i fautori della professionalità: il risultato è esattamente il contrario e le lacrime e sangue potrebbero versarle non i creatori dell’impresa, ma coloro che (nel franchising) aderiscono all’idea di impresa loro sottoposta. I potenziali franchisee. Inizialmente…si, inizialmente, perchè alla lunga la debolezza della rete potrebbe giocare brutti scherzi agli amanti delle scorciatoie.

Quindi, il primo passo obbligatorio da effettuare per creare una rete in franchising dovrebbe essere indiscutibilmente la sperimentazione del know how e della formula commerciale.

Lo scopo della norma è essenzialmente quello di obbligare il franchisor a “testare” sul mercato la bontà e la tenuta della propria formula commerciale prima di poter “vendere” la propria franchise, così da garantire una certa affidabilità della e alla rete stessa, in modo da evitare che gli affiliati possano essere coinvolti in iniziative commerciali non collaudate o addirittura truffaldine: quello che non raramente continua ad accadere a distanza di quasi 10 anni dall’introduzione della legge.

Si tratta di una sperimentazione effettiva, non ipotetica o astratta. E’ un vero e proprio test sul modello di impresa che si intende portare verso il franchising, verso la replica in collaborazione con altri imprenditori autonomi. Si tratta di una sperimentazione “on field”, sul campo, sul mercato di riferimento, cioè, un’area geografica sufficientemente ampia in rapporto alla tipologia di attività oggetto della rete e non “in laboratorio” o “nelle stanze celebrali ben arredate in ambiente cranico”, cioè semplici e/o fervide idee stabilizzate nella testa di molti “fanta-imprenditori.

La serietà della sperimentazione dovrebbe implicare che quest’ultima non possa avere durata irrisoria, con tempi di breve termine, ecc., ma debba svolgersi in un arco di tempo tale da poter rendere il test affidabile, credibile e coerente, così da produrre un risultato attendibile, senza escludere anche il requisito di una sufficiente remunerazione.

Ma qual è il tempo sufficiente ?
Ecco. Adesso entriamo nel campo delle eresie. Adesso apprendiamo tesi, affermazioni, consigli, indicazioni che, a mio umile parere, corrispondono a dei veri e propri obbrobri economici.
A cosa mi riferisco ? A queste frasi tratte da alcuni documenti ufficiali di organizzazioni di categoria, elaborati di professionisti, estratti di libri, pseudo guide, ecc. (potete fare una semplice ricerca su internet, ovviamente):

  • “prima di costituire la propria rete di Franchising, l’Affiliante dovrà aver sperimentato sul mercato, con successo, la propria formula, per un periodo minimo di 1 anno, con almeno un’unità pilota, qualora applicabile”;
  • “la sperimentazione non potrà certo quindi avere una durata di pochi giorni o settimane, ma neppure dovrà durare necessariamente anni; in linea di massima, un anno (corrispondente ad un esercizio finanziario) è generalmente considerato il periodo temporale di riferimento minimo, ma in concreto potrebbe non essere sufficiente”;
  • “Xxx srl ha aperto il suo primo negozio pilota nel settembre del 2011, per dare il via al progetto “Yyyy franchising”: una catena di negozi in franchising specializzati in (…). Dopo un anno di sperimentazione, il lancio pubblicitario ha avuto inizio nel novembre 2012 in occasione del Salone (…)”;
  • “va da sé che questa sperimentazione non possa durare pochi mesi, ma almeno un anno (meglio sarebbero due anni). E che dovrebbe essere fatta su più punti pilota, magari in zone diverse”;
  • “…dovrebbe aver testato l’attività per almeno un anno attraverso uno o più punti pilota in diverse zone geografiche”;
  • “la sperimentazione avviene attraverso una o più unità pilota, e deve avere, sebbene la legge non lo preveda espressamente, una durata minima non inferiore ad un anno, periodo ritenuto sufficiente per misurare, attraverso le risultanze del bilancio di esercizio, i risultati economici dell’attività e quindi la replicabilità della formula ad opera di terzi, con prospettive di redditività”;
  • …vogliamo continuare a raccogliere materiale ?

Ovviamente di frasi di tal natura ne troviamo in ogni angolo, ma l’ultima frase la ritengo tra le più complete in termini di eresie. Queste frasi, o comunque, il concetto ve lo potete anche sentir dire da “insospettabili” operatori del settore, cioè, da coloro che non rivestono la qualifica di franchisor, ma operano (in una forma o in altra) nel settore.
Permettetemi:

  • ma quale economista ancora minimamente dotato ed in possesso di una basilare e vitale attività mentale equilibrata può considerare un termine temporale di un anno quale “tempo minimo e sufficiente” per considerare sperimentata una formula commerciale, un modello di business, tale da poter essere “venduta” (in Usa ed in Francia si parla di “vendita/acquisto di una franchise”) a terzi invitandoli ad effettuare investimenti anche di centinaia di migliaia di euro ?
  • ma quale economista ancora lucido mentalmente ritiene o può ritenere affidabile un test economico-finanziario svolto in “un esercizio finanziario” oppure convalidare tale test dopo un anno, “periodo ritenuto sufficiente per misurare, attraverso le risultanze del bilancio di esercizio, i risultati economici dell’attività e quindi la replicabilità della formula ad opera di terzi, con prospettive di redditività”…addirittura….abbiamo anche “prospettive di redditività”…abbiamo anche “con visioni nel futuro“…forse si tratta di “allucinazioni”;
  • quale “mente sanamente pensante” di un economista “sanamente vivente” può prendere a riferimento un anno quale “periodo temporale di riferimento minimo” identificandolo come il lasso di tempo idoneo o sufficiente per entrare in un mercato, considerare la formula sperimentata, attestare di considerarla atta a produrre una assestata e prospettica “redditività” tale da poter dire ad un terzo soggetto: “attua il mio sistema di impresa, il mio modello di business di successo, dotato di vantaggio competitivo e, per farlo, ti insegnerò io come, intanto dammi i tuoi soldi”.

C’è qualcosa di strano:

  • Strano che franchisor seri non prendano pubblicamente le distanze da chi porta avanti tali tesi.
  • Strano che franchisor seri e corretti non difendano se stessi ed il settore a cui appartengono facendosi promotori di messaggi diversi e antitetici.
  • Strano che franchisor seri, corretti e onesti non difendano, in tal modo, i loro sacrifici fatti da sperimentazione che ha richiesto lacrime e sangue.
  • Strano che imprenditori del settore non ritengano giunta l’ora di distinguersi dagli imbonitori di settore.

Ecco, questa è la mia integrazione all’argomento “sperimentazione” che aggiungo al mio intervento “Sogno di mezza impresa” e non dico che tutto questo sia illegale, anzi, PURTROPPO è assolutamente legale.
Eh, si, perchè è la stessa Legge n.129/2004 ad ammettere che la sperimentazione possa essere di durata inferiore a 3 anni. Una legge della e per la quale molti si onorano di aver contribuito e partecipato alla sua predisposizione. Una legge, come ripeto spesso, semplice alla lettura, ma insidiosissima, molto insidiosa. Infatti, l’art. 4, 1° comma, lett.a), prevede che l’attività del franchisor possa essere stata esercitata per meno di tre anni, ai fini dell’obbligo di consegna dei bilanci all’aspirante affiliato (su sua richiesta, ovvio !!!).
Ma tutto questo non significa affatto che se la legge è carente non sia meglio, opportuno, onesto, corretto dare e fornire consulenze o consigli o scrivere codici deontologici o articoli o libri a contenuto più garantista e/o più prudente e/o tendente ad evidenziare che si tratta di una assurdità economica che è meglio non seguire, anzi, è opportuno evitare (per il franchisor), o che è meglio appurare, verificare e controllare bene (per il franchisee), ecc., ecc., ecc..
Anche perché il divulgare così spudoratamente il concetto del “sufficiente il minimo di un anno” non ha neanche affidabilità circa le singole caratteristiche di ciascuna attività: secondo tale tesi va bene un anno per il franchising alberghiero, per la ristorazione e anche per officine o servizi di assistenza alla persona.
La situazione mi ricorda un proverbio: “Chi ha fretta di arricchire non si conserverà innocente”, salvo che non si prendano le distanze da tali modalità operative, ovviamente, ma se le si consigliano, se si frequentano ambienti che di tali modalità ne fanno regola, scatta nuovamente quella che sto segnalando da alcuni interventi: la connivenza e la complicità.
Basta !!! A mio parere è l’ora che si cessi questo modo di “sfare cultura” economica, aziendale e, in particolare, di franchising.
Perchè si continua a divulgare tale messaggio ? Perché continuare ? Forse perché in questo modo aumentano i franchisor ? Aumentano le reti e possiamo tirar fuori dati statistici di “crescita del settore” ?
Si certo, alcuni spaccati di indagini statistiche evidenziano dati di crescita e io stesso sono assolutamente convinto della crescita dell’intero settore e credo nella sua crescita per il futuro (lo scrivo e dico da decenni). Ma cerchiamo di comprendere bene di ciò che stiamo parlando, cioè, di “quali dimensioni medie delle reti in Italia” stiamo parlando. Cerchiamo di capire quanti nascono e quanti muoiono ed i tempi di tutto ciò.
Giusto tenere sotto controllo numeri, ma che si cerchi di dedicare maggiore attenzione alla consistenza delle reti e, soprattutto, che non si divulghi “la faciloneria nel franchising”. E’ vergogna ed è anche un danno sociale.
Riprendo Ernesto Ferrero: “Ogni attività artigianale e professionale ha il suo duro apprendistato, le sue regole, anni di lavoro, lacrime e sangue” e, dopo una prima lettura che ci fa immaginare dolore e fatica, applichiamo invece un’altra visione a tale prima lettura e riflettiamo sul fatto che, se vogliamo, se siamo seri:

  • le lacrime possono essere di gioia;
  • il sangue può essere, con eccezionali benefici, trasferito ad altri per aiutarli.

Quindi, positività nella correttezza, in fondo, il franchising è anche questo, ha anche questo aspetto di carattere collaborativistico, cooperativistico, di aggregazione, familiare, amichevole, di squadra, di aiuto, di partenariato, di crescita reciproca, ecc., portandomi a condividere ciò che sosteneva George Westinghouse quando diceva “Se un giorno diranno di me che nel mio lavoro ho contribuito al benessere ed alla felicità del mio collega, allora sarò soddisfatto”.
Altri tempi, altra morale, altro spessore…e altre possibili azioni legali…

commenti
  1. […] Continua Qui: Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura. Basta alla diffusione di obbrobri economici … […]

  2. […] E’ un po’ tutto paradossale e ricorda molto (mi azzarderei a sostenere un certo senso di certezza circa la presenza di uno stretto collegamento, sia in termini di contenuto, sia in termini di “divulgatori scientifici”) la questione legata alla sperimentazione, argomento affrontato in altro intervento presente sul blog dal titolo “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…“. […]

  3. […] Esperienza: per creare un franchising bisogna effettuare due tipologie di sperimentazione. Occorre aver già sperimentato l’attività ed aver raggiunto risultati positivi. Ovviamente, è doveroso segnalare che l’obbligo di due sperimentazioni giunge da un obbligo di legge, art.3, c.2, Legge 129/2004 (vogliamo continuare a far finta che questa norma non esista ?), ma un imprenditore dovrebbe avere l’obbligo di effettuare la sua sperimentazione esattamente come quando si dedica alla produzione ed alla vendita di uno specifico prodotto. Sull’argomento “esperienza” è anche intervenuta più volte l’AGCM circa la necessaria informazione non ingannevole sulla effettiva esperienza dell’affiliante, non delle persone fisiche operanti. Approfondimento.  […]

  4. […] alle “fandonie circolanti” sulla sperimentazione, leggendo l’intervento “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…. Un’altra particolare tipologia di franchisor è quella che lancia simultaneamente una […]

  5. […] Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi… […]

  6. […] qualcuno avrà illustrato una cosa completamente diversa da quanto da me pubblicamente reso noto “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…”. Si perché in giro tutto il settore racconta la cosa diversa da quella più logica, da quella […]

  7. […] “Un sogno di mezza “impresa” (anche se in franchising)” (Febbraio 2013) e “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…” (Dicembre 2013). Ma l’invito è da estendere ad una lettura complessiva di tutto […]

  8. […] per lo sviluppo della rete– #Franchising senza sperimentazione? Non è franchising– Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…– Franchising e know how: obbligo presenza e trasferimento (…e basta con queste […]

  9. […] e infondato che “per la sperimentazione basta un anno”. Per questo tema invito a leggere “Sperimentazione nel franchising: come “sfare cultura”. Basta alla diffusione di obbrobri economi…”, oltre ai vari articoli reperibili sulle varie testate, sicuramente su AZ […]

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